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le potenzialita conosciamone l importanza

12/07/2022

Le potenzialità...conosciamone l'importanza!

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12/07/2022

Le potenzialità...conosciamone l'importanza!

Le potenzialità…conosciamone l’importanza!

Le domande di coaching, solitamente, quelle che arrivano nel mio studio, nascono da problemi d’insoddisfazione nell’esigenza umana di autorealizzazione. Le persone vanno in crisi, nelle relazioni, nel lavoro, e anche nel rapporto con sé stessi.

Da dove nasce questo malessere, questo sentirsi inadeguati, insoddisfatti di quello che si ha o di quello che si fa?

Il tutto nasce dalla repressione di una o più potenzialità e per comprendere come è opportuno agire è fondamentale conoscere!

Cosa sono queste “potenzialità”?

Le potenzialità sono:

un tratto del carattere, come potrebbe essere l’amore per il sapere o l’intelligenza sociale che insieme concorrono alla formazione della nostra identità stabile;

attività complesse rappresentanti emozioni, pensieri e azioni frutto di scelte e motivazioni, come per esempio impegnarsi a studiare per amore del sapere per lavoro o per hobby;

processi relazionali positivi perché evocano negli altri piacevolezza e gratitudine, come quando ci fa piacere vedere una persona che aiuta un’altra in difficoltà, e si esprimono sempre in chiave relazionale;

sono valori, rappresentano punti di riferimento etici che ci orientano nel rapporto con il mondo, con la visione di noi stessi, con la relazione con gli altri e con il senso e il significato del nostro fare.

Non esiste una potenzialità senza sentimento, senza desiderio, piacere, gratificazione e coinvolgimento. È una delle espressioni più intime della nostra personalità e uno degli aspetti più caratterizzanti e importanti è che è ispirata e seguita da emozioni positive nel momento in cui si mette in atto, sia per chi la esprime sia per chi la riceve. L’emozione positiva che ne scaturisce, che si sente, è la verifica pratica che una potenzialità è tale e personale. Lo senti, e lo senti molto bene quando qualcuno accanto a te sta esprimendo una sua potenzialità, che la persona ne sia consapevole o meno, tu, che gli sei o le sei accanto percepisci un piacere molto intimo e profondo nello stare insieme a quella persona. Solo emozioni positive sperimentate come la gioia, l’interesse, il coinvolgimento o il divertimento possono indicarci una potenzialità. 

Le prime potenzialità da conoscere sono quelle di specie, ossia quelle universali, presenti in ogni individuo. Queste potenzialità di base inficiano, se non si esprimono, lo sviluppo di tutte le altre e rappresentano le fondamenta per la costruzione di un rapporto sano con sé stessi.

Ve le elenco brevemente, qui sotto, ma vi rimando per un bel approfondimento al testo di Luca Stanchieri “Scopri le tue potenzialità” di FrancoAngeli edizioni, che chiaramente illustra nello specifico tutte e 24 le potenzialità.

Quelle di base, universalmente presenti in ognuno di noi sono:

  • la cura di sé che trova le sue radici nell’istinto di sopravvivenza,
  • la tensione all’autorealizzazione e all’autosviluppo come spinta innata verso la crescita personale,
  • la proattività intesa come la capacità di agire e intervenire sia sulle forze interne che su quelle esterne senza subirle passivamente,
  • la socievolezza ossia la propensione dell’individuo all’aggregazione con altre persone.

Se davvero vogliamo essere felici, senza se e senza ma, qualcosa che fino ad oggi non abbiamo fatto, lo dovremo pur fare, non credete?

Iniziamo con il conoscerci meglio rispondendo ad alcune domande iniziali che, in seguito ci accompagneranno alla scoperta delle nostre potenzialità …tipo:

Cosa significa per me prendersi cura di sé?

Quanto tempo dedico a questa attività?

Cosa faccio concretamente?

Rispondendo a queste domande, apparentemente semplici, s’inizia la ricerca della felicità attraverso il DDF!

Buon lavoro per ora!

 

 

 

elogio alla lentezza

06/06/2022

Elogio alla lentezza

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06/06/2022

Elogio alla lentezza

Elogio alla lentezza

 

“Se nella verde etade alcun trascura di lodato sapere ornar la mente, quando è giunta per lui l’età matura d’aver perduto un si gran ben si pente. Cercando allor, ma trovasi a man vuote: potea, non volle, or che vorria non puote”.

(da “I due susini di Luigi Facchi detto Clasio)

 

Ricordavo bene il testo, ma per riportare alla mente l’autore e il titolo ho dovuto affidarmi a Google! Mi regalò questa frase il mio zio preferito mentre soffrivo di pene d’amore da ragazza. Il testo, che ben conservavo nella memoria, in poche parole trasmette l’importanza del rispetto dei tempi naturali per l’evoluzione umana e mi porta, oggi, ad un pensiero molto significativo della Montessori: “Per costruire il futuro è necessario vigilare sul presente. Quanto più verranno curati i bisogni di un periodo, tanto maggior successo avrà il periodo successivo”[1].

 

Viviamo una vita frenetica, fatta di mille e uno impegni, per noi, per i nostri figli, per tutti insomma. Spesso diciamo: “non ho tempo, mi spiace” ad un invito per un caffè, o di fronte a qualcuno che semplicemente avrebbe desiderio di scambiare quattro chiacchere con noi. Per prima io mi ritrovo, auto osservandomi, a mettere in ansia i miei famigliari, facendo loro fretta per i motivi più svariati o essendo preda dell’impazienza per un ritardo di qualche minuto oppure anche solo per un: “aspetta!!”.

 

Messa così, proprio non capivo perché le attività proposte ai bambini dovevano essere in un unico esemplare e capito ancora meno il significato dell’attesa. Non che a livello di pensiero razionale non lo ritenessi importante , ma si sa, tra il dire e il fare c’è di mezzo tanto, tanto fare: una cosa è credere di esercitare un certo comportamento, un’altra cosa è farlo; aspettare e rispettare i tempi degli altri, i tempi dei bambini, era un aspetto che avevo trascurato e  che ho recuperato attraverso la lentezza: mi sono accorta in tempo che i sogni, a occhi aperti e chiusi, possono essere accolti e anche realizzati, quando non siamo più schiavi dei ritmi dettati dall’esterno, dalla fretta nevrotica del fare e dall’impazienza.

 

Tutto il lavoro della Dottoressa Montessori rispetta in modo rigoroso e scientifico il tempo della natura delle cose e i periodi sensitivi sono l’esempio principe su tutti: questi periodi, sensitivi non a caso, sono legati a precise fasi di sviluppo fisico e psichico, ed è in questi specifici momenti che gli avvenimenti accadano, che il piccolo d’uomo costruisce la propria personalità, non prima e non dopo.  Questo aspetto focale ci porta ancor meglio a comprendere come l’ordine dello scorrere della vita infantile debba essere rispettato senza affrettare nessun tempo.

Oggi è come se vivessimo in un mondo con l’acceleratore sempre schiacciato al massimo e siamo in preda ad una frenesia dell’anticipo e senza quasi rendercene conto siamo nel circolo della società dell’usa e getta, siamo in un “tempo freccia”[2] che ha tolto il tempo dell’attesa con tutto il suo immaginario di aspettative.

 

Tutta l’impostazione del metodo scientifico Montessori ci porta esperienze di vita scolastica e formativa che vedono la pazienza e il tempo dell’attesa come base fondante per la costruzione dell’uomo. Nelle realtà montessoriane la lentezza è di rigore, le presentazioni dei lavori e dei materiali vanno fatte lentamente, in silenzio; i bambini non vivono l’ansia del risultato, o la competizione, ma l’esperienza: questo è uno dei motivi per cui non ci sono mai due attività uguali.

 

Che ne dite di darsi una regolata?

 

Provate ad andare piano, cercate di “perdere tempo” con la consapevolezza che lo state guadagnando in una migliore qualità della vita.

Vi lascio il titolo del bellissimo libro di Zavalloni: “La pedagogia della lumaca” per approfondire in maniera semplice, ma non scontata l’argomento della conquista dell’andare piano iscrivendosi al PIL che non ha niente a che fare con l’economia: Partito degli Incontri Lenti[3].

 

 

 

[1] M. Montessori, LA MENTE DEL BAMBINO, Garzanti, Milano 2016, pag. 193

[2] G. Zavalloni, LA PEDAGOGIA DELLA LUMACA, Ed. Missionaria Italiana, Città di Castello 2008, pag. 22

[3] Ibid., pag. 15

il filo rosso che accomuna le mie scelte

22/03/2022

Il filo rosso che accomuna le mie scelte

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22/03/2022

Il filo rosso che accomuna le mie scelte

Il filo rosso scorre all’interno di questi due affascinanti metodi di vita, il coaching umanistico e il metodo Montessori delineando, per me, una strada chiara sulla quale, come fosse una segnaletica, vedo confermate e anche dirette verso nuovi e possibili sentieri le mie intuizioni.

La prima conferma fa riferimento al potenziale umano, la seconda si basa sull’importanza che entrambi i metodi danno all’esercizio, alla ripetizione, all’allenamento, insomma al fare,  la terza si riferisce all’esperienza di flow vera e propria che nel coaching umanistico è necessaria per allenare il senso di autoefficacia delle persone e nel metodo Montessori è determinante per il processo di normalizzazione  e la quarta al ruolo, di mentore, di guida, di maestro  che in entrambi i metodi deve essere un accompagnatore, una persona che sa “stare al fianco” senza indirizzare nelle scelte o impartire ordini.

LA PRIMA: Il potenziale umano

Nell’ articolo al coaching umanistico abbiamo visto che sono proprio le potenzialità individuali a farla da padrone, e come tutto il metodo si basi sulla loro scoperta, definizione e successivo allenamento per il raggiungimento di determinati obiettivi di miglioramento della qualità della vita. Riuscire ad esprimere al meglio le proprie potenzialità è condizione imprescindibile per raggiungere il benessere e felicità intesi come sensazione di completezza e pienezza nel raggiungere “il nostro posto nel mondo”.  Le potenzialità non sono abilità, capacità ed in genere   talenti in sé e per sé, non riguardano cioè risorse che sono tese all’incremento qualitativo o quantitativo della performance o della produttività. Una potenzialità può anche essere un talento, ma un talento in sé non è una potenzialità. Come ha dimostrato Alex Swarzer, ex atleta italiano specializzato nella marcia, campione olimpico della 50 km a Pechino 2008, un talento può essere anche una condanna. È caduto rovinosamente puntando il tutto e per tutto solo sul suo talento senza coltivare le sue altre potenzialità. La potenzialità è collegata a desideri e quindi al piacere, alla gratificazione e al coinvolgimento. È una delle espressioni più intime della nostra personalità. La potenzialità è ispirata e seguita da emozioni positive nel momento in cui si realizza, sia per chi la esprime, sia per chi entra in contatto con chi la esprime. L’emozione è la verifica pratica che una potenzialità è tale ed è personale. L’approccio per la ricerca di una potenzialità non è produttivista ma umanista.  M. Montessori, non solo considera l’espressione e lo sviluppo delle potenzialità individuali come “lo scopo dell’educazione” e quindi anticipa i tempi e  ne riconosce  a pieno titolo l’importanza,  ma insiste sul farci capire il nostro compito essenziale di adulti nel predisporre l’ambiente adatto “per il costruttore dell’uomo” di modo che questo fluire di potenzialità avvenga naturalmente: “Invece il segreto del bambino è appena nascosto dall’ambiente. Ed è sull’ambiente che bisogna agire per liberare le manifestazioni infantili: il bambino si trova in un periodo di creazione e di espansione e basta solo aprirgli la porta. Infatti ciò che si sta creando, ciò che dal non essere passa all’esistenza e che da potenziale si fa attuale, sul momento di uscire dal nulla non può avere complicazioni; e si stratta di un’energia espansiva, non vi è difficoltà al suo manifestarsi”.

Io sono un coach umanista, un ricercatore di potenzialità umane, prima di tutto, e attraverso il dialogo accompagno le persone che lo desiderano nella presa di coscienza del loro reale potenziale, e sono anche una maestra montessoriana, attenta osservatrice dei bisogni del bambino tanto da costruire per lui un ambiente adatto da permettergli di esprimere al meglio le sue potenzialità.

“Stimolare la vita, lasciandola però libera di svilupparsi, ecco il primo dovere dell’educatore”.

LA SECONDA: L’allenamento – il lavoro - l’esercizio

Tra il dire e il fare c’è di mezzo il fare.

Nel metodo del coaching umanistico le parole “contano”, le domande “potenzianti” servono al cliente per prospettarsi un futuro diverso dal presente che vive, ma tutto questo dialogare, poi deve tradursi in cambiamento che avviene attraverso l’allenamento. Il metodo del coaching affronta le debolezze tramite i punti di forza. Rendendo eccellenti le risorse si compensano e si acquisiscono anche le potenzialità che sono più deboli. Per esempio se l’amore per il sapere è alto e la spiritualità bassa, non è certo con la droga che si sentirà la trascendenza, ma con l’esplorazione e la conoscenza dei sistemi di idee che rappresentano la spiritualità: un possibile esercizio potrebbe essere quello di spendere cinque minuti al giorno per respirare profondamente, rilassarsi e meditare, o meglio visitare un nuovo museo ogni mese e scrivere ciò che hai imparato di nuovo. O ancora se la lungimiranza è forte ma non la persistenza è solo stabilendo obiettivi che sono in linea con la propria convinzione più profonda che possiamo pensare di realizzarli. Un possibile esercizio di allenamento della lungimiranza per rafforzare la persistenza potrebbe essere: spiega la vasta prospettiva della tua vita in una o due fasi come esercizio settimanale.

Ogni programma di allenamento così come ogni esercizio, sarà inevitabilmente personalizzato a seconda del coachee: non esiste un esercizio valido per tutti, pur riferito ad un’unica potenzialità. Questo allenamento serve da carburante motivazionale e riprendendo il motto del coaching “attivare la mente attraverso i muscoli” mi collego al metodo Montessori nel quale il lavoro, l’esercizio, la ripetizione vanno di pari passo come importanza all’attenzione: “aiutami a fare da solo”.

M. Montessori, come sempre, parte dall’origine della cose e nulla lascia al caso, inizia così a spiegare l’importanza del lavoro infantile per “produrre l’uomo”: “Il lavoro infantile è di specie e potenzialità molto diverse, potremmo quasi dire opposte: è un lavoro incosciente, realizzato da un’energia spirituale che si sta sviluppando, un lavoro creatore che ricorda la simbolica descrizione della Bibbia, dove parlando dell’uomo, la scrittura dice soltanto che “fu creato”.Il bambino cresce con l’esercizio: la sua attività costruttiva consiste in un autentico lavoro che materialmente sorge dall’ambiente esterno”.  Da queste basi di pensiero nascono tutte le attività di vita pratica, il materiale sensoriale, il materiale scientifico di sviluppo, insomma si comprende l’importanza del “fare”, concretamente “usare le mani” e non solamente la testa per apprendere e per costruire l’intera personalità umana.

C’è una pagina bellissima ne “La mente del bambino” che tratta proprio dell’importanza di fare esercizio e poi continua delineando un aspetto umano che sia gli adulti che i bambini hanno in comune: il miglioramento.

Scrive così M. Montessori a pag. 208, riferita alla gioventù: “La società generalmente dice “Siate pazienti con la gioventù: occorre insistere con buone intenzioni e buoni esempi”. E si crede, col tempo e la pazienza, di poter realizzare qualcosa: invece non si realizza nulla: col passar del tempo si diventa vecchi, ma non si crea nulla. Nulla può essere compiuto solo con il tempo e la pazienza, se non si è profittato delle occasioni che si presentano durante il periodo creativo” e continua delineando un altro punto: “In tutti gli uomini vi è una tendenza, che esercita una sia pur tenue azione sui difetti del carattere, è la virtù di stimolare il miglioramento. Gli individui e la società hanno questo in comune: il continuo progresso. In altre parole il comportamento dell’uomo non è invariabile come negli altri animali, ma può progredire, ed è naturale che l’uomo senta perciò questa spinta verso il progresso”. Questi pensieri non solo confermano l’importanza del lavoro e dell’impegno nell’evoluzione dell’uomo, ma ci riportano alle teorie del potenziale umano di Maslow, di Seligman o alla SDT vista negli altri articoli, nelle quali viene enfatizzata la necessità che l’uomo ha nel suo essere di progredire, di migliorarsi per dare il meglio di sé.

Il coach umanista è un allenatore di potenzialità che è una risorsa alla stato embrionale che preme per essere espressa e valorizzata come principale punto di forza dell’individuo. È proprio la potenzialità allenata e valorizzata che incide nella realtà e nei contesti e quindi in grado di operare un cambiamento soggettivo e oggettivo. Allo stesso modo la maestra Montessori “allenando” il bambino all’utilizzo delle attività sensoriali prima, alle attività di vita pratica poi e al materiale scientifico di sviluppo dopo, concorre a rispondere al suo bisogno fondamentale di essere aiutato a fare da se.  Ed entrambi adulti e bambini, seguendo le parole di M. Montessori sono mossi dalla loro spinta verso il progresso!

LA TERZA: Il flow e la polarizzazione dell’attenzione

L’esperienza di flow, avviene quando siamo impegnati in un’attività congruente con i nostri interessi, del tutto coerente con il nostro quadro di valori e che soddisfa le nostre motivazioni. La Psicologia Positiva, che non è il pensiero positivo: penso che vada tutto bene e tutto bene andrà, riferendosi al concetto di benessere nella sua accezione eudaimonica, si prefigge proprio una maggiore attenzione agli interessi e ai valori del uomo, credendo in percorsi, come il metodo del coaching umanistico,  che possano garantire l’autorealizzazione di ognuno. Allo stesso modo il polarizzarsi dell’attenzione, riportando proprio le parole di M. Montessori, pone al centro dell’educazione e dello sviluppo continuo uno stato di concentrazione profonda che nasce da “dentro”: “ogni volta che avveniva una simile polarizzazione dell’attenzione, cominciava il bambino a trasformarsi completamente, a farsi più calmo, quasi più intelligente e più espansivo: egli mostrava qualità interiori straordinarie”.

Come coach umanista promuovo le esperienze di flusso attraverso gli allenamenti co-progettati con i miei coachee, e la stessa cosa faccio come educatrice Montessori con i bambini: cerco di  fare in modo che l’adulto “rifiorisca” e il bambino “fiorisca”. Maria Montessori parla di normalizzazione riferendosi alla  capacità del bambino di auto-realizzazione e apprendimento continuo come il risultato di ricorrenti esperienze di concentrazione profonda.

LA QUARTA: Il coach umanista e la maestra Montessori

Una su tutte è la qualità che accomuna queste due figure nei diversi contesti di lavoro: la fiducia. La fiducia incondizionata nella potenza, che non è il potere, dell’uomo.

Come coach umanista credo con sincera sicurezza che il mio coachee, o la famiglia che accompagno,  riuscirà nel suo intento di cambiamento, così come da educatrice Montessori  “ho fede” nel bambino che ho davanti: “Le insegnanti che vengono nelle nostre scuole devono avere una specie di fede che il bambino si rivelerà attraverso il lavoro. Esse devono staccarsi da ogni idea preconcetta che riguardi il livello a cui i bambini possono trovarsi. L’insegnante deve avere fede che il bambino che le sta davanti mostrerà la sua vera natura quando troverà un lavoro che lo attragga. Che cosa cercare allora? Che uno  o l’altro dei bambini cominci a concentrarsi. A provocare questo deve rivolgere le sue energie; e le sue attività cambieranno di stadio in stadio come un’evoluzione spirituale”.

Nel mio lavoro di coach umanista accompagno le persone adulte a trovare o ritrovare la felicità. E allo stesso modo, il metodo Montessori mi permette di accompagnare anche i bambini in questa avventura meravigliosa della vita. Ho una profonda soddisfazione interiore nel lavoro che faccio. Due costanti nella mia vita sono la formazione e la crescita personale che vanno sempre a braccetto nel corso del tempo.  Ho ancora tanto da fare, da imparare, da sperimentare, a livello di personalità interiore o spirituale come scrive la Dottoressa, sia come coach umanista sia come educatrice Montessori, e ci lavoro sempre, mi alleno attraverso la continua conoscenza sempre più approfondita delle mie zone luce e delle mie zone ambra e delle mie potenzialità che rappresentano continuamente nuove sfumature di colori brillanti.

L’aspetto che più accomuna le due figure in questo ambito è però, l’aver fatto loro stessi, maestra e coach, pratica  personale dell’esperienza di flusso, la prima per aver acquisito le capacità di preparare un’ambiente favorevole alla concentrazione e il secondo per indirizzare in maniera competente nella scelta degli esercizi più adeguati il proprio coachee.

Concludo, questa carrellata di articoli,  con alcuni pensieri di K. Rathunde che condivido pienamente: “Un flusso ricorrente o esperienze di picco possono indicare che si è sul sentiero dello sviluppo dell’identità e delle conoscenza di sé; questo è esattamente il percorso per nutrire lo spirito, che penso Montessori raccomandasse per la preparazione degli insegnati. Se queste osservazioni sono corrette, suggeriscono che, secondo la pedagogia montessoriana, una componente fondamentale della preparazione di un’insegnante è l’autorealizzazione e la ricerca di un’identità autentica attraverso il percorso della motivazione interiore, del flusso e di profonde esperienze della massima intensità che uniscono il sé con l’ambiente. Molte descrizioni di flusso e di esperienze forti sottolineano questi momenti di unità tra il sé e l’ambiente e riportano alla mente le affermazioni di M. Montessori di una persona ricolma di meraviglia e amore per l’universo. Secondo Montessori, una persona di questa portata sarebbe una guida migliore per gli studenti perché avrebbe meno limitazioni personali che possono interferire con la sua capacità ci comprendere il percorso di auto-valutazione del bambino”.

la pedagogia dell attenzione di maria montessori

04/03/2022

La pedagogia dell’attenzione di Maria Montessori

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04/03/2022

La pedagogia dell’attenzione di Maria Montessori

La dottoressa Montessori non definisce il suo pensiero educativo e formativo un metodo, ma educazione alla vita. Montessori si concentra sull’ambiente adatto, a misura di bambino, sulla libera scelta e l’interesse, sull’adulto come guida e sulla normalizzazione e fa di questi quattro punti la base, le fondamenta del suo metodo: l’adulto agisce sul bambino in modo indiretto, attraverso l’ambiente che deve essere predisposto apposta per lui, che impara dall’ambiente stesso con la guida dell’adulto che lo accompagna.

M. Montessori quando parla dell’intimo raccoglimento del bambino che lavora   lo assimila ai mistici e agli uomini di scienza alle prese con una concentrazione talmente intensa che sembra isolarli dalle cose del mondo. L’innesco del lavoro, della disciplina, non sono atti obbligati ma scaturiti dall’attenzione che si focalizza  e proprio per questo il primo compito dell’adulto è quello di “riconoscere il polarizzarsi dell’attenzione”, che è un fenomeno molto simile all’esperienza del flow. La Montessori non si curerà solo dei determinanti dell’attenzione che l’attirano (relativa dimensione, forma, colore, movimento, contrasto, intensità, durata, ripetizione) ma anche e soprattutto dei fattori che la trattengono perché sono quelli che provengono dal soggetto stesso e dalle sue motivazioni profonde. “La lezione è un appello all’attenzione. Se l’oggetto risponde agli intimi desideri del bambino e rappresenta qualcosa che li soddisferà, incita il bambino ad un prolungata attività, poiché egli se ne rende padrone e continua ad usarlo”.

Nel suo libro “Il bambino in famiglia” lei scrive “…. vi sono nell’individuo esigenze intime, per le quali mentre egli si abbandona ad un lavoro misterioso, si richiede la completa solitudine, la separazione da tutto e da tutti”. Questa è la forza della concentrazione che accomuna i bambini anche molto piccoli agli scienziati.

Per fare in modo che si realizzi tale attenzione prolungata ci vogliono degli oggetti ed un’attività da svolgere con essi e su di essi, “vediamo che esiste uno stretto legame tra il lavoro manuale che si compie nella vita comune e la profonda concentrazione dello spirito”. Questo “sprofondarsi dell’anima in se stessa” non è proprio delle persone eccezionali ma è proprio, all’inizio, di ogni bambino, ma che poi si conserva solo in poche persone sino all’età adulta. All’inizio della vita, la concentrazione non è straordinaria ma del tutto ordinaria. 

Nel suo libro “L’Autoeducazione” M. Montessori dedicherà un intero capitolo all’attenzione. La Dottoressa osserva che il fatto fondamentale della sua scoperta è proprio l’attenzione e scrive, “l’organizzazione della vita psichica si inizia con un fenomeno caratteristico di attenzione…E ogni volta che avveniva una simile polarizzazione dell’attenzione, cominciava il bambino a trasformarsi completamente, a farsi più calmo, quasi più intelligente e più espansivo: egli mostrava qualità interiori straordinarie”.

E qui, Montessori mette in relazione la spontanea concentrazione infantile con la contemplazione, con i momenti più intensi e nobili della vita adulta che ricordavano i fenomeni di coscienza più alti, come quelli della conversione: “fin che una cosa speciale intensamente l’attrae, la fissa, e allora l’uomo ha la rivelazione di sè stesso, sente di cominciare a vivere”.

Una viva e costante concentrazione è il segreto di ogni apprendimento e di ogni insegnamento.

L’attenzione va ricercata e va aiutata.

Tutto l’ambiente, tutto il materiale e tutte le attività montessoriane a tutte le età, ma soprattutto nel primo piano di sviluppo (0-6), sono finalizzate ad aiutare la concentrazione verso punti di interesse e, una volta che si è innescata, deve essere protetta, ovvero lasciata libera di agire. “La libertà è la condizione sperimentale per studiare i fenomeni dell’attenzione del bambino”.

Quando il bambino si concentra la sua mente si sviluppa e la sua personalità si costruisce. 

La concentrazione è legata sì alla motivazione, nel senso che il coinvolgimento genera la concentrazione, ma possiede anche una logica interna, una “formazione interiore”. Solo dopo che ci si è riusciti a concentrare ci si coinvolgerà emotivamente.

Il bambino si concentra facendo un’attività liberamente scelta e quando la mano e la mente lavorano assieme abbiamo il miracolo dell’apprendimento e dello sviluppo, la “magia” della mente assorbente.

Come ha detto Montessori, “l’azione assorbe l’intera attenzione ed energia del bambino…L’uso delle mani porta ad una profonda attenzione”. “La concentrazione fa parte della vita, non è la conseguenza di un metodo di educazione. Il metodo Montessori si basa sulle qualità di un contesto, la scuola e la famiglia, che rende sociale il tipo d’impegno e focalizza l’attenzione. Più di qualsiasi altro sistema educativo, l’intero metodo Montessori si basa totalmente su una profonda comprensione delle relazioni tra la mente e il cervello”.

Possiamo dire che quella della Montessori è, nel suo insieme, una pedagogia dell’attenzione. Attenzione al bambino, ai suoi bisogni, ma anche e soprattutto impegno e considerazione nostre nel preservare quell’ attenzione del bambino che gioca-lavora, che abbiamo visto essere fondamento della personalità umana. Attenzione, dunque, nel fare in modo che “l’ambiente maestro” e la “voce delle cose” ottengano, da soli, gli obiettivi desiderati, e uno su tutti è proprio il polarizzarsi dell’attenzione che porta poi alla normalizzazione, senza   che interventi superflui e a volte dannosi da parte adulta inficino il risultato desiderato.

il flow la polarizzazione dell attenzione e la felicita cosa hanno in comune

11/02/2022

Il flow, la polarizzazione dell’attenzione e la felicità cosa hanno in comune?

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11/02/2022

Il flow, la polarizzazione dell’attenzione e la felicità cosa hanno in comune?

Durante una mia formazione un concetto ripetuto più volte dal docente mi piacque molto: “prima le mani in testa e poi le mani in pasta”, queste parole rendono molto bene l’importanza della conoscenza teorica prima e poi della sua trasposizione nella concretezza della vita vera, per comprendere meglio quello che ci accade, come stiamo o come vorremmo stare. Per tutti!

Per tutti dicevo, certamente per chi come me lavora con l’umano di ognuno di noi è una condizione “sine qua non”, ma è bello sapere per chiunque. A volte sembra non interessi niente a nessuno, ma è dal sapere comune che scaturiscono grandi idee. Anche per questo motivo amo scrivere di teoria, così da costruire un ponte che trasporti alla potenzialità del vivere.

Torniamo “alle mani in testa” e approfondiamo il FLOW.

Per dirla con le parole dello stesso Csikszentmihalyi: “Parlare di Flow significa far riferimento a un’esperienza di totale concentrazione, dedizione e divertimento in una particolare attività: tutto sembra accadere sotto il nostro controllo, esattamente come lo desideriamo”.

Secondo Csikszentmihalyi la felicità non deriva dalla fortuna o dal caso e non è determinata da eventi esterni al di fuori del nostro controllo, ma è strettamente legata alla nostra volontà e a come ognuno di noi interpreta gli eventi che accadono e le esperienze che compie.

La felicità è quindi una condizione innaturale che ha bisogno di essere generata e mantenuta. Ciò si verifica attraverso un processo di selezione attiva delle informazioni; ogni soggetto seleziona ed organizza le informazioni acquisite nel contesto in cui opera secondo un criterio specifico: “la qualità dell’esperienza” associata a tali informazioni. Vengono infatti in preferenza replicate quelle esperienze in grado di produrre uno stato di coscienza pieno e positivo ed evitare quelle generanti noia e stati di stress negativo o ansia.

Vi sono situazioni in cui riusciamo a non farci condizionare, nel nostro agire, dai fattori esterni, ci sentiamo protagonisti assoluti delle nostre azioni e di solito questo provoca una sensazione piacevole di gioia fornendoci un punto di riferimento su come dovrebbe essere la nostra vita. 

Il flow è quella situazione in cui tutto si svolge in armonia con le nostre decisioni: l’alpinista che fa l’ascensione perfetta, l’atleta che migliora il suo record, il musicista che compone, l’architetto che finisce  il suo migliore progetto,  ecc… queste “esperienze ottimali” sono tutte attività che hanno in comune alcune caratteristiche di fondo: non derivano da momenti di apatia, passività o rilassatezza, non è il piacere che deriva da un bagno caldo, dalla lettura di un buon libro o da un massaggio.

Il flow è uno stato che presuppone passione e creatività, il pieno coinvolgimento delle migliori abilità della persona, la sua attenzione totale, la chiarezza della meta da raggiungere, un ottimale senso di controllo, il corpo e la mente impegnati al limite. L’esperienza ottimale dipende da noi, si determina non solo perché siamo protagonisti di quello che stiamo facendo, ma perché siamo totalmente coinvolti nell’attività al punto che niente altro c’interessa più in quel momento.

La dottoressa Montessori già nel 1906, aveva osservato un fenomeno simile: “Il primo fenomeno che richiamò la mia attenzione fu quello di una bambina di forse tre anni, che si esercitava ad infilare e sfilare i cilindretti degli incastri solidi. Da quando avevo cominciato a contare, la bambina aveva ripetuto l’esercizio quarantadue volte. Si fermò come uscendo da un sogno e sorrise come una persona felice: i suoi occhi lucenti, brillavano, guardando tutto attorno”. Questo fenomeno è il polarizzarsi dell’attenzione, che vedremo in modo più approfondito nel prossimo articolo.

Lo stesso avvenimento ho osservato io, durante il mio lavoro, con alcuni bambini: Leonardo ha travasato sostanze per più di mezz’ora assorto nella sua attività e così Margherita che dopo aver fatto e rifatto più volte la torre rosa mi guarda estasiata e dice: “questo è un lavoro meraviglioso”. Sia Leonardo che Margherita non lavoravano solo con le mani, ma l’intero corpo, la mente, i sensi, l’intero “sistema di relazione” stavano lavorando. Erano nella loro “esperienza ottimale”.

Proprio a questo riguardo voglio citare le parole di K.R. Rathunde durante il convegno “La mente del bambino. Maria Montessori e le neuroscienze” tenutosi a Brescia nell’ottobre del 2014, che chiariscono molto bene il concetto di “esperienza ottimale” vissuta dai miei due bambini e da tutte le persone che vivono il flusso: “Completo coinvolgimento, senso di chiarezza e di sicurezza, anche se è un compito difficile, una sorta di sicurezza che puoi farcela. L’azione è la consapevolezza si fondono e giungi in quello stato di trascendenza in cui perdi la concezione del tempo, in cui ti perdi, l’ego scompare e sei motivato intrinsecamente che non è una motivazione interiore ma deriva dalla connessione tra la persona e quello che sta facendo per il semplice piacere e gusto di farlo: è proprio piacevole svolgere quell’attività”.

Come per i miei bambini Margherita e Leonardo!

Il flow è caratterizzato da alcune condizioni precise che descriverò in sintesi:

  • Bilanciamento tra sfide e capacità: è un requisito importantissimo perché questo delicato equilibrio fra le capacità personali e la percezione delle difficoltà del compito da affrontare implica proprio lo Stato di Flow. Infatti, se si crea uno sbilanciamento a favore delle proprie abilità personali si verificherà uno stato di noia da parte del soggetto che compie l’azione, viceversa se le sfide del compito da svolgere sono troppo onerose rispetto alle proprie capacità personali, avremo uno stato di ansia;
  • Integrazione fra azione e consapevolezza: pensiamo a questo proposito ad un atleta che sta compiendo un tuffo e riflettiamo sulla quantità di concentrazione e impegno servano in un breve lasso di tempo perché la prestazione sia ottimale (tanto che dall’esterno può risultare quasi naturale e spontanea);
  • Obiettivi chiari: in altre parole avere in mente esattamente cosa vogliamo ottenere;
  • Feedback immediato e inequivocabile: è l’elemento che ci permette di sapere se stiamo raggiungendo o abbiamo raggiunto il nostro obiettivo e quindi se la situazione è sotto controllo;
  • Concentrazione totale sul compito: l’individuo è totalmente immerso nel “qui e ora”, non c'è spazio per informazioni che non siano quelle necessarie a svolgere, in quel momento, quell’attività,
  • Perdita di auto-consapevolezza: il nostro io non ci giudica ma diventa parte integrante dell’azione;
  • Perdita del senso del tempo: il senso del tempo per chi si trova in Stato di Flow si altera e, talvolta, non vengono neppure percepiti i bisogni fisici primari come la fame e la sete;
  • Esperienza autotelica: in altre parole la motivazione verso quell’azione nasce dal piacere intrinseco nel praticarla e non dalle ricompense che possono derivare dall’esterno.

Cosa hanno, dunque, in comune la teoria del flusso, l’attenzione polarizzata della Montessori e la felicità?

L’ESPERIENZA…il fare…l’utilizzo delle mani, le mani in pasta, il DDF (che vi spiegherò, ma non ora, è una sorpresa).

Questo vale per tutti noi, adulti e bambini.

parliamo di felicita

28/01/2022

Parliamo di felicità

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28/01/2022

Parliamo di felicità

Emozioni positive – relazioni positive – coinvolgimento  –  significato  -  realizzazione

sono questi, secondo Martin Seligman, i cinque aspetti che rendono la vita degna di essere vissuta, dei veri e propri parametri sui quali misurare il proprio benessere e quello della società.

Secondo Seligman la psicologia, che si è occupata quasi esclusivamente del malessere e delle patologie, deve dedicare pari attenzione agli aspetti positivi dell’esistenza umana: emozioni piacevoli, potenzialità, virtù e abilità dell’individuo. L’enfasi sul ruolo fondamentale delle risorse e potenzialità dell’individuo rappresenta un autentico capovolgimento di prospettiva: si privilegiano interventi finalizzati alla mobilizzazione delle abilità e risorse della persona, anziché alla riduzione o compensazione delle sue limitazioni. Inoltre, la prospettiva eudaimonica (eudamonia: è il termine con cui gli antiche Greci definivano la felicità, il sommo bene) porta l’attenzione sulla relazione tra benessere del singolo e sviluppo della collettività, tema quanto mai caldo in questo momento storico.

 Le potenzialità hanno un ruolo molto importante nella nostra vita in quanto se vengono represse per tanto tempo possono causare disagio e disturbi mentali, se sono riconosciute e poco utilizzate possono determinare una vita non pienamente realizzata,  e se al contrario sono individuate, allenate e utilizzate in tutti gli ambiti della vita, conducono ad un’esistenza felice. E’ proprio a causa della repressione delle potenzialità caratterizzanti, che matura la crisi di autogoverno di una persona che può portare alla mancanza di felicità.

La frustrazione per non sentirsi realizzate, la sofferenza che deriva dal volere di più dalla propria vita, ma non sapere esattamente cosa e come, il desiderio di un cambiamento avvertito come assolutamente necessario, ma non meglio identificato, sono tutte situazioni che possono generare una domanda di coaching e alle quali il coach deve rispondere con l’individuazione delle potenzialità caratterizzanti la persona che ha di fronte.  Le potenzialità devono entrare, dopo essere state individuate, in un vero e proprio programma di allenamento che il coach concorda con la persona che ha deciso d’intraprendere una nuova strada.

Il motto del coaching  è “attivare la mente attraverso l’attivazione dei muscoli” e questo non può non portarci immediatamente al pensiero di Maria Montessori e a tutto il suo discorso sul movimento. Scrive Montessori:   “Abbiamo innanzi tutto un cervello; e poi i sensi, che raccolgono le impressioni per trasmetterle al cervello; e in terzo luogo i muscoli… Questo complesso organismo consiste perciò di tre parti: il cervello, i sensi, i muscoli. Il movimento è il punto di arrivo del sistema nervoso: senza movimento non si può parlare di individuo”. Per M. Montessori il movimento è legato all’intelligenza e la Dottoressa  lo spiega a livello scientifico dicendo che i muscoli fanno parte del sistema nervoso essendone il punto di arrivo. L’allenamento, nel coaching, parte prima di tutto dalla cura di sé che alimenta il primo circolo virtuoso innescato dal coaching. E’ proprio il concetto di cura di sé  che ha introdotto il tema della felicità e, sulla base delle ricerche di Maslow prima e di Seligman e Peterson poi,  possiamo affermare che nell’essere umano esiste naturalmente la potenzialità del “prendersi cura di sé” che comporta una tensione innata all’autorealizzazione contraddistinta da due fattori: la tendenza allo sviluppo ossia alla propria crescita personale e la proattività cioè la capacità di agire e intervenire da protagonista sia sulle forze interne come le passioni o le emozioni sia sulle forze esterne come il contesto e le relazioni senza subirle passivamente. Questo significa che la possibile scelta individuale può incontrare nell’ambiente sia opportunità che ostacoli. E anche qui il pensiero di Maria Montessori mi suona dentro come Le Quattro Stagioni di Vivaldi: “La nostra è una Casa dei Bambini piuttosto che una vera e propria scuola; cioè un ambiente specialmente preparato per il bambino, dove esso assimila qualsiasi cultura diffusa dall’ambiente senza bisogno di insegnamento…”. M. Montessori dà un’importanza fondamentale e strategica all’ambiente per la formazione dell’uomo, è proprio l’ambiente che deve farsi maestro attraverso una giusta preparazione.

Un’altra teoria di fondamento per andare alla ricerca della felicità è la

Self-Determination Theory – SDT di Deci e Ryan,

è una teoria sulla motivazione che afferma infatti due dimensioni:

  • l’autodeterminazione;
  • il controllo.

Essere autodeterminati significa agire con volontà e operatività in piena autonomia e pieno coinvolgimento mentre essere controllati significa agire sotto la pressione di una volontà esterna, ma anche di una volontà interna, come nel caso di obbedienza ad un proprio imperativo morale. Nuovamente M. Montessori ha anticipato di molto i tempi con le sue intuizioni anche in riferimento all’autonomia e alla volontà: “ciò che più ha suscitato discussione è quel capovolgimento tra adulto e bambino: il maestro senza cattedra, senza autorità e senza quasi insegnamento, e il bambino fatto centro dell’attività, che impara da solo, che è libero nella scelta delle sue occupazioni e dei suoi movimenti . Quando non è sembrato un’utopia, è apparso un’esagerazione”. Lo slogan montessoriano “aiutami a fare da solo” è un inno all’autonomia.

La SDT afferma, anche, e questo è un aspetto molto importante in merito alla felicità, che quest’ultima è intimamente collegata con tre bisogni o tendenze psicologiche che, se soddisfatte, portano al suo benessere, e se, al contrario sono contrastate, conducono al suo malessere. Queste tre aree di autorealizzazione non sono intercompensabili tra di loro e pertanto anche la totale soddisfazione di una delle tre aree non colma l’eventuale insoddisfazione derivante dalle altre.

I tre bisogni psicologici o le tre aree di autorealizzazione dell’individuo identificati da Deci e Ryan sono:

L’Area della Relazionalità che corrisponde al bisogno che hanno le persone di costruire e coltivare relazioni sociali. L’essere umano avverte il bisogno di sentirsi in rapporto con gli altri, di provare affettività positiva, di avere cura e di sentirsi curato dagli altri. Tale bisogno è indipendente dal contesto a cui appartiene l’individuo e quindi è intrinseco all’essere umano.

L’Area della Competenza: è dalla valorizzazione di questa area che nascono le capacità e le competenze dell’individuo. La “competence” si riferisce al volere essere efficaci, all’agire nel proprio ambiente e raggiungere i risultati voluti. Anche da questo bisogno si sviluppa l’evoluzione umana, attraverso le fasi di esplorazione e conoscenza, di elaborazione ed esecuzione del processo creativo, che apportano modifiche migliorative in termini di efficacia ed efficienza sia al prodotto, alla modalità, ai metodi, sia direttamente all’ambiente in cui si opera, che in tutti gli ambiti della vita umana.

L’Area dell’Autonomia: quest’area riguarda l’esercizio della volontà e dello spirito d’iniziativa e corrisponde in primo luogo alla tendenza dell’individuo ad essere e a sentirsi autonomo nelle sue scelte, che pertanto devono essere autodeterminate. L’autonomia della persona passa attraverso il  suo senso d’integrità e la coscienza di sé stessi che sono intrinseci a tutte le azioni che nascono dall’autodeterminazione individuale. Autonomia non vuole dire isolamento, al contrario la Relazionalità e la Competenza nell’interazione con altri individui e contesti rispondono ad una scelta frutto di idee e decisioni autonome, sulla base di interessi e propensioni proprie.

I bisogni appena elencati sono tutti bisogni di autorealizzazione, non sono bisogni fisiologici, non serve soddisfarli per poter vivere, si vive ugualmente, anche se con tutta probabilità, si vivrà nella frustrazione e nelle sofferenza. Il senso di autorealizzazione dà vita alla felicità, al senso di pienezza e di appagamento della persona. Gli studi della psicologia positiva accendono i riflettori sul fatto che l’autorealizzazione e la felicità che ne scaturisce, non sono solamente stati emotivi semplici, ma sono soprattutto importanti risorse psicologiche che possono essere impiegate per raggiungere i propri obiettivi.

La felicità è una vera e propria risorsa psicologica che non solo migliora le relazioni affettive e le prestazioni nel proprio campo di azione, ma produce anche importati benefici sul piano fisico, stimolando in tal modo un circolo virtuoso che si autoalimenta.

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