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Questo spazio dedicato alle mie rubriche vuole essere un "posto" di condivisione, non solo di confronto su riflessioni o filosofie, ma anche e soprattutto sulla comunanza di esperienze di vita, di quotidianità, di concretezza, partendo da un semplice e allo stesso tempo complesso concetto che impariamo facendo e solo facendo impariamo. Tutti!

29/09/2025

Giorni che contano

Autonomia che libera, non che stressa

autonomia che libera non che stressa

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29/09/2025

Giorni che contano

Autonomia che libera, non che stressa

Autonomia che libera, non che stressa

Introduzione 

A te che stai leggendo e che ci provi ogni giorno: ti vedo. Vedo la fatica buona di chi vuole educare con rispetto, senza urla, senza punizioni inutili, coltivando una casa che profumi di fiducia. Se credi — come me — nell’educazione alla felicità, sai già che non esistono scorciatoie: esiste il lavoro quotidiano, fatto di tentativi, aggiustamenti, consapevolezza. A volte funziona, altre no. È normale.

Qui trovi strumenti concreti: routine, frasi guida, ambienti a misura. Ma la differenza la farà una sola cosa: DDF – Darsi Da Fare. Il resto sono alibi eleganti. DDF significa mettere in pratica: osservare senza giudizio, preparare l’ambiente, scegliere una sola cosa e rifarla finché diventa abitudine. Significa anche preparare te, come adulto: respiro, ritmo, tono — perché l’ambiente più potente sei tu.

Nel mio coaching umanistico, l’allenamento dei punti di forza è un pilastro: riconoscerli nel bambino (persistenza, cura, attenzione) e in te (costanza, presenza, integrità) cambia il clima della casa più di mille spiegazioni. Alleni ciò che vuoi vedere crescere. Questo articolo è un invito ad allenare ogni giorno un gesto, una parola, una scelta.

Poco, bene, adesso. Felici s’impara così.

Sommario

Cosa intende davvero Maria Montessori

Mito da sfatare: autonomia ≠ “fa tutto da solo”

I tre pilastri dell’autonomia (e perché funzionano)

Le 3 routine-ponte che costruiscono autonomia (senza ansia)

Errori comuni (da adulti affettuosi ma stressati)

Il ruolo dell’ambiente: il vero maestro

Come si parla all’autonomia (linguaggio adulto)

Metodo in azione: il “controllo dell’errore”

Allenamento di 7 giorni – “Aiutami… a fare da me”

Checklist pratica (salvala sul frigo)

Quando l’autonomia “stressa”: segnali da ascoltare

Osservazione: il taccuino dell’adulto

Mini-FAQ (secondo Montessori)

Una domanda potente per il genitore

Cosa intende davvero Maria Montessori

Autonomia come processo interiore: Per Montessori l’autonomia non è “saper fare da soli” in senso tecnico, ma diventare capaci di iniziativa, autocorrezione e scelta responsabile. È un processo che nasce dalla mente assorbente (0–6 anni), cioè dalla straordinaria capacità del bambino di interiorizzare l’ambiente. Quando l’adulto prepara contesti chiari e offre presentazioni lente dei gesti, il bambino organizza ciò che vede dentro di sé, sviluppando fiducia e competenza. L’autonomia, quindi, è un effetto naturale di un ambiente giusto e di un adulto che osserva, più che l’obiettivo diretto di “far fare”.

Mito da sfatare: autonomia ≠ “fa tutto da solo”

Responsabilità progressiva: Montessori parla di libertà entro confini: il bambino è libero di agire lì dove l’ambiente lo rende possibile e sicuro. L’adulto non delega, accompagna. La responsabilità cresce a piccoli scatti, secondo tappe maturative e periodi sensitivi (ordine, movimento, linguaggio, socialità…). Anticipare o spingere è controproducente: genera stress e resistenze. Il criterio è: mostro – affido un pezzetto – resto vicino – mi ritiro.

Autonomia non è “arrangiati”, ma “aiutami a fare da me”.

L’errore non è colpa: è informazione per il passo successivo.

Approfondiamo il concetto di Libertà entro confini e responsabilità progressiva

Che cosa significa davvero “libertà entro confini”

Il bambino è libero di agire solo dove l’ambiente e l’adulto hanno reso l’azione possibile, sicura e comprensibile.
Un confine sano è:

  • chiaro (spiegato in anticipo),
  • coerente (si ripete),
  • proporzionato all’età e
  • rassicurante (contiene, non punisce).

Esempi quotidiani:
• Versare l’acqua: brocca piccola, panno vicino. Confine: “Si versa da seduti, sul vassoio.”
• Coltellino seghettato per frutta morbida (4–6): tavoletta, dita a “granchio”. Confine: “Si taglia solo qui e solo la frutta.”
• Scaffale vestiti: 2 opzioni per capo. Confine: “Scegli tra questi due e poi riponi l’altro.”

L’adulto accompagna, non delega (tieni a mente questo acronimo AME – Aiuto Minimo Efficace)

Attesa (5–10 sec).

Segnale non verbale (indico/mostro).

Parola breve (“Prova dall’inizio della zip”).

Tocco puntuale (sostengo solo il pezzo critico).

Dimostrazione lenta (se bloccato del tutto).
Quando mi ritiro: ripete la sequenza, ti guarda meno, usa da sé panno/specchio/checklist.

Responsabilità a piccoli passi (es. vestirsi 3–6)
Scatto 1: mette solo le calze →
Scatto 2: introduce la sequenza (testa–maniche–giù) →
Scatto 3: aggiunge la cerniera.
A ogni passo del bambino,  l’adulto fa un passo indietro.

Periodi sensitivi (perché contano)
• Ordine (≈1–4): posto fisso per oggetti, routine stabile → facilita la sequenza.
• Movimento (0–6): vita pratica continua (versare, travasare, aprire/chiudere).
• Linguaggio (0–6): istruzioni brevi, uguali.
• Socialità (3–6): regole condivise, incarichi reali (apparecchiare 2 posti).

Come riconoscere quando stai spingendo troppo
Indicatori: fretta cronica, opposizione rigida, pianto “a tappeto”, evitamento stabile.
Cosa fare: riduci complessità (meno passaggi), ripresenta lentamente, allunga i tempi (parti 10’ prima), verifica accessibilità degli strumenti.

Algoritmo quotidiano da avere sempre in testa: — mostro → affido un pezzetto → resto vicino → mi ritiro

Mostro (30–60 sec, lento, parole minime). Frase: “Guarda le mie mani.”

Affido un pezzetto (il tratto più facile). Frase: “Provi tu fin qui.”

Resto vicino (AME): attendo, segnalo, una parola, un tocco. Frase: “Ti serve aiuto?” (aspetta la risposta!!! e se è NO, è NO, non aiutare).

Mi ritiro quando riesce 3 volte di fila o gestisce l’errore.

Tre micro-scenari
• Cucina – versare: setup (brocca+bicchiere+panno). Mostro → affido metà → ritiro.
• Uscire – chiudere la giacca: gancio basso, tappetino; aggancio cursore → tiri tu.
• Bagno – denti: clessidra 1–2’, 4 zone; oggi due tu, due io → domani tre tu, una io.

Frasi utili (pronte, brevi, montessoriane)
“Provi tu, io resto qui.” · “Ti mostro solo l’inizio.” · “Quale pezzo fai tu?” · “Ti serve aiuto?” · “Se sbagli, c’è il panno: fa parte dell’imparare.” · “Una cosa alla volta.”

I tre pilastri dell’autonomia (e perché funzionano)

Ambiente, libertà, osservazione: Montessori definisce l’ambiente il vero “maestro”. Un contesto ordinato esternamente sostiene l’ordine interno del bambino (funzione dell’ordine). La libertà entro confini evita sia il caos che l’obbedienza cieca, e nutre scelta e autocontrollo. L’osservazione dell’adulto (quaderno alla mano) è lo strumento per calibrare aiuti e richieste senza invadere.

E l’ambiente interno del genitore?
Accanto allo spazio fisico, Montessori richiama la qualità interiore dell’adulto: presenza, autoregolazione emotiva, tono di voce, ritmo e coerenza. Un adulto centrato, risolto,  diventa egli stesso “ambiente”: contiene con limiti chiari e gentili, rispecchia nominando le emozioni senza giudizio, regola passando dalla reattività alla risposta. Prima si prepara la stanza, poi ci si prepara: un respiro che rallenta, una postura che invita, aspettative proporzionate, una parola in meno e un minuto in più di osservazione. Questo clima interiore rende possibile la libertà entro confini e sostiene la costruzione della volontà del bambino.

Ambiente preparato: pochi materiali veri, chiari, accessibili, a misura.

Libertà entro confini: regole brevi, coerenti, prevedibili.

Osservazione: guardo ritmi, interessi, frustrazioni; cambio il contesto prima di cambiare il bambino.

Le 3 routine-ponte che costruiscono autonomia (senza ansia)

Routine come “micro-laboratori di volontà”: Le routine quotidiane sono palestra di funzione esecutiva: attenzione, memoria di lavoro, pianificazione. Presentate bene, diventano materiali di vita pratica che sviluppano coordinazione, concentrazione e volontà (saper iniziare, proseguire, finire). Ogni routine sotto include: preparazione → presentazione → pratica → autocorrezione.

1) Vestirsi

Cornice Montessori: la vita pratica affina movimento volontario e sequenza logica; la mano è lo “strumento dell’intelligenza”.

Ambiente: cassetto basso; 2 alternative per capo (periodo sensitivo per l’ordine → poche scelte).

Presentazione lenta: mostra la sequenza una volta, con movimenti lenti e parole essenziali (modellamento).

Pratica: lascia provare; intervieni solo se bloccato, partendo dal punto di blocco.

Controllo dell’errore: specchio a misura; la maglia rovesciata “dice” da sola cosa non torna.

Frase guida: “Provi tu, io sono qui.”

2) Apparecchiare/riordinare la tavola

Cornice Montessori: ordine esterno → ordine interno; cura di sé e dell’ambiente = educazione morale concreta.

Ambiente: vassoio con tovaglietta, posate, bicchiere; panno per imprevisti a portata.

Presentazione: posizionare oggetti sempre nello stesso ordine (sinistra→destra), favorendo orientamento spaziale.

Pratica: incarico stabile (“oggi prepari due postazioni”).

Controllo dell’errore: se cade l’acqua, asciuga il bambino: l’imprevisto è parte dell’apprendere.

Rituale: 10 secondi di respiro insieme: setta attenzione e tono.

3) Uscire di casa

Cornice Montessori: prevedibilità e tempo sufficiente preservano la volontà; la fretta erode autonomia.

Ambiente: gancio basso per giacca, cesto scarpe, borraccia accessibile; checklist visiva “scarpe–giacca–acqua”.

Presentazione: agganciare e sganciare la giacca lentamente, mostrare il gesto delle cerniere.

Pratica: timer gentile 5–10’ prima: “Quando suona, provi tu.”

Controllo dell’errore: tappetino per sedersi a rimettere la scarpa che “scappa”.

Errori comuni (da adulti affettuosi ma stressati)

Come l’adulto può sabotare senza volerlo: L’amore è il motore, ma non basta: serve essere preparati. L’adulto è ponte tra bambino e ambiente: troppo aiuto impedisce la costruzione della volontà, troppo poco crea insicurezza. La buona intenzione, senza metodo, genera confusione e stress.

Cosa significa “essere preparati” (in chiave Montessori)

Preparazione interiore: respiro, tono di voce, postura, ritmo, aspettative proporzionate; passare dalla reattività alla risposta.

Preparazione tecnica: presentazioni lente e complete, una sequenza alla volta; uso dell’AME – Aiuto Minimo Efficace (attesa → segnale → parola → tocco → dimostrazione); predisporre controlli dell’errore (specchio, panno, checklist).

Preparazione dell’ambiente: accessibilità reale, pochi materiali, ordine visibile, strumenti veri e sicuri.

Errori tipici: cosa evitare

Sostituzione (“faccio io, così non soffri”) → ruba esperienza e volontà.

Iper-direttività (troppe parole e correzioni) → spegne l’iniziativa.

Fretta/urgenza cronica → trasmette ansia, interrompe la concentrazione.

Lode generica (“bravissimo!”) → alimenta dipendenza dall’approvazione, non competenza. (la trovi anche dopo in modo più approfondito)

Tre criteri pratici per non sabotare

Prima mi centro, poi intervengo (3 respiri + frase guida: “Provi tu, io sono qui”).

Mostro → affido → attendo → mi ritiro (non salto passaggi).

Osservo e calibro: se la frustrazione è stabile, riduco la complessità e preparo meglio ambiente e sequenza.

I segnali positivi che il ponte è solido

Il bambino prova, chiede aiuto mirato e usa strumenti di autocorrezione (specchio, panno, checklist).

L’adulto parla meno, descrive di più, celebra l’impegno e non solo il risultato.

Il clima resta calmo anche nell’errore: l’errore diventa lavoro, non colpa.

La routine procede con meno richiami e più iniziativa spontanea.

I tempi si accorciano naturalmente senza fretta imposta.

Segnali di rischio (da monitorare)

Ti ritrovi a offrire troppe scelte (più di 2) e noti confusione o blocco.

Entri in aiuto automatico (“faccio io così facciamo prima”) e il bambino smette di provare.

Lode generica ("bravissimo!")
Perché è un problema: all’apparenza sembra incoraggiare, ma in realtà può alimentare dipendenza dall’approvazione esterna, ansia da prestazione, evitamento dei compiti difficili. Il bambino non impara a valutarsi da sé, ma solo a piacere all’adulto.
Come correggere: sostituire la lode vuota con feedback descrittivo (racconta ciò che ha fatto), collegarlo a impegno/processo, ancorarlo a un dato osservabile. In questo modo il bambino sviluppa autovalutazione e senso di competenza reale.
Esempi:
• “Hai insistito anche quando la zip si è bloccata: persistenza.”
• “Hai asciugato l’acqua senza che te lo chiedessi: cura dell’ambiente.”
• “Ti sei accorto che mancava la tovaglietta e l’hai cercata: attenzione.”
Formula 3D (Descrivi–Denomina–Direziona): descrivi l’azione, denomina la qualità emersa, indica il passo successivo.
Esempio 3D: “Hai infilato la testa e poi le maniche da solo (sequenza). La prossima volta provi anche a tirare l’ultimo pezzo della zip.”
Cornice Montessori: il riconoscimento deve essere ancorato al gesto osservabile e sostenere volontà e autocorrezione, non il bisogno di piacere.

L’ambiente è adulto‑centrico (oggetti in alto, strumenti non a misura) e compaiono frustrazione o rinuncia.

La fretta cronica spezza la concentrazione e aumenta i conflitti.

Il ruolo dell’ambiente: il vero maestro

Ordine, bellezza, proporzione: Per Montessori l’estetica educa: ordine e bellezza “chiamano all’azione”. Un ambiente sobrio e curato invita il bambino a prendersi cura, senza prediche. L’ambiente rende superflua molta parte delle correzioni verbali.

Meno è meglio: rotazione settimanale; lascia fuori solo ciò che è funzionale all’età/interesse.

Accessibilità: tutto a misura di mano e occhio (ganci, sgabello, brocche leggere).

Strumenti veri (sicuri): piccole pinze, spolverino, spazzola, mini-secchio.

Casa per ogni cosa: sagome/contorni o foto sullo scaffale → il bambino sa dove riportare.

Come si parla all’autonomia (linguaggio adulto)

Parole che costruiscono volontà: Il linguaggio adulto incide su motivazione e autocontrollo. In Montessori si preferisce una parola poca, chiara, concreta, che accompagni l’azione senza sostituirla.

Anticipazione breve: “Ora ti mostro lentamente; poi toccherà a te.”

Sequenza: “Prima la testa, poi una manica, poi l’altra.”

Domande riflettive: “Posso aiutarti? Cosa vuoi riprovare?”

Confini corti e gentili: “Le scarpe restano qui. Se vuoi, ti aspetto mentre provi.”

Riconoscimento dell’impegno: “Hai ricominciato tre volte finché ci sei riuscito.”

Metodo in azione: il “controllo dell’errore”

Dall’etero-correzione all’auto-correzione: Nei materiali Montessori l’errore “salta all’occhio” senza che l’adulto lo segnali (cilindri che sporgono, incastri che non chiudono). Questo si chiama controllo dell’errore: una proprietà dell’ambiente/materiale che restituisce feedback intrinseco all’azione, permettendo al bambino di vedere dove non torna, capire cosa manca e rimediare in autonomia. In pratica: l’errore è dell’azione, non della persona. Effetti attesi: più concentrazione, perseveranza, autostima tranquilla e minore dipendenza dal giudizio adulto.

Perché è cruciale per gli adulti — Evita il cortocircuito “se sbaglia, ho sbagliato io”. Quando l’adulto interpreta l’errore del bambino come fallimento personale (del genitore o dell’educatrice), scattano tre reazioni tipiche: 1) sostituzione (faccio io), 2) iper‑correzione (spiego, correggo, giudico), 3) pressione (fretta, aspettative). Risultato: si rompe il ciclo di auto‑apprendimento, cresce l’ansia, cala l’iniziativa.

Come rimanere nel metodo (linee chiare)

Separare i piani: Io preparo condizioni e limiti, tu fai esperienza.

Nominare l’errore senza colpa (linguaggio descrittivo): “La zip si è fermata qui; ripartiamo dall’inizio del cursore.”

Praticare l’AME: attendo → segnalo → parola breve → tocco puntuale → dimostrazione lenta.

Trasformare l’errore in compito di rimedio: panno, specchio, checklist, cestino “ritenta”. Il rimedio lo esegue il bambino.

Riformulare il pensiero adulto: da “non sono capace a insegnargli” a “sto preparando meglio ambiente e sequenza”.

Rituale anti‑cortocircuito per l’adulto (STOP–RESPIRO–NOMINA–RIFORMULA)
STOP (mi fermo 2″) → RESPIRO (allungo l’espirazione) → NOMINA (a me: “è il suo compito, non il mio valore”) → RIFORMULA (uso una frase guida breve).

Esempio concreto
Maglia al contrario: descrivo (“la cucitura è fuori”), indico lo specchio, chiedo “da dove vuoi ripartire?”, attendo. Se serve, mostro solo il primo gesto per srotolarla; poi mi ritiro. Niente battute svalutanti, niente “te l’avevo detto”.

Come portarlo nelle routine di casa

Rendi visibile la discrepanza: contrasto visivo (bordo del vassoio, righe guida), specchio a misura, checklist illustrata, segni di inizio/fine sul gancio della zip.

Metti a portata gli strumenti di rimedio: panno, spazzolina, cestino “ritenta”, tappetino per sedersi, secchiello per briciole.

Ordina i passaggi: pochi step numerati a vista (1–2–3), sempre nello stesso ordine; criterio di riuscita chiaro (“la tovaglietta resta dentro il bordo”, “zip fino al segno”).

Postura dell’adulto (AME – Aiuto Minimo Efficace)
Attendo 5–10″, segnalo con il dito, offro una parola breve, eventualmente un tocco puntuale; non anticipo la soluzione.
Domande guida: “Cosa non ti torna?” “Con cosa vuoi rimediare?” “Qual è il prossimo passo?”
Linguaggio descrittivo: “La maglia è rimasta girata sulle spalle; guarda allo specchio.”

Quando intervenire davvero
Solo per sicurezza, blocco emotivo prolungato o frustrazione crescente nonostante gli strumenti: semplifico il compito, ripresento il gesto lentamente, rimando la parte difficile.

Mini‑checklist per il genitore
[ ] L’errore è visibile senza parole.
[ ] C’è uno strumento di rimedio a portata.
[ ] I passaggi sono pochi e in ordine.
[ ] Ho pronto cosa dire in 7 parole o meno.

Specchio basso per vestirsi → il bambino vede se la maglia è rovescia.

Panno sempre disponibile → l’acqua caduta diventa occasioni di cura, non colpa.

Checklist visiva → autoverifica dei passaggi prima di chiedere aiuto.

Allenamento di 7 giorni – “Aiutami… a fare da me”

Micro-percorso intenzionale: Sette giorni per mettere a terra i principi: una routine, un ambiente, un passo alla volta. 10–15 minuti al giorno sono sufficienti per innescare nuove abitudini.

Giorno 1 – Scegli una sola routine-ponte
Vestirsi oppure tavola oppure uscita. Prepara l’ambiente e togli il superfluo.

Giorno 2 – Presentazione lenta (una volta sola)
Mostra ogni gesto con calma, in silenzio o con parole minime. Poi invita a provare.

Giorno 3 – Spazio all’errore
Niente correzioni sul risultato: nota un passaggio riuscito e verbalizzalo.

Giorno 4 – Controllo dell’errore
Inserisci strumenti di autocorrezione (specchio, panno, checklist). Non sostituirti.

Giorno 5 – Riduci a 2 scelte
Diminuisci attrito decisionale: osserva se cresce l’iniziativa.

Giorno 6 – Responsabilità reale
Affida un pezzetto stabile della routine (“oggi apparecchi due posti”).

Giorno 7 – Revisione insieme
“Cosa ti è piaciuto? Cosa vuoi fare da solo la prossima settimana?” Decidete un micro-passo in più.

Checklist pratica (salvala sul frigo)

Dall’intenzione alla coerenza quotidiana: La coerenza dell’adulto è il “clima” che rende l’autonomia stabile. Questa lista ti aiuta a restare sul metodo.

Quando l’autonomia “stressa”: segnali da ascoltare

Ricalibrare senza rinunciare: Se compaiono pianto costante, evitamento, oppositività fissa, probabilmente la richiesta è troppo alta o l’ambiente non aiuta. La risposta montessoriana non è “mollare”, ma ridurre la complessità e ripresentare.

Semplifica la sequenza (taglia in 2–3 passi).

Ripresenta lentamente, partendo dal punto di blocco.

Allunga i tempi (parti 10’ prima).

Controlla l’ambiente (accessibilità reale? strumento troppo pesante?).

Riconosci l’emozione: “È difficile, ti capisco. Proviamo un pezzo alla volta.”

Osservazione: il quaderno dell’adulto (scrivi quello che vedi, non quello che pensi di vedere!!!)

Il Metodo = osservazione sistematica: Per Montessori l’osservazione è passiva, paziente e umile.

Passiva non vuol dire assente: l’adulto si trattiene dall’intervenire per non interrompere concentrazione e iniziativa.

Paziente vuol dire rispettare i tempi reali dell’azione, senza fretta né sollecitazioni.

Umile vuol dire sospendere giudizi e aspettative, guardare i fatti e lasciarsi sorprendere.

Scopo: conoscere il bambino per preparare meglio l’ambiente, riconoscere i periodi sensitivi e dosare l’Aiuto Minimo Efficace (AME).

Come si osserva concretamente

Postura discreta, a lato; mani ferme; pochi sguardi, nessun commento.

Quaderno alla mano: descrivo gesti, tempi, interessi; non interpreto.

Intervengo solo per sicurezza o blocco prolungato; altrimenti aspetto.

Cosa guardare

Dove si dirige spontaneamente? Per quanto resta concentrato?

Qual è la sequenza che segue e dove si blocca?

Che segnali di stanchezza o frustrazione compaiono?

Che controlli dell’errore usa da solo?

Errori da evitare

Etichettare ("è pigro/impaziente").

Correggere mentre osservo.

Riempire di domande o di lode generica.

Bastano 3 righe al giorno:

Cosa ha scelto da solo?

Dove si è bloccato?

Quale aiuto minimo ha funzionato?

In una settimana avrai informazioni utili a regolare ambiente e richieste.

Mini-FAQ (secondo Montessori)

Sciogliamo i dubbi ricorrenti:

“Se non insisto, non impara.”
In realtà impara meglio se il compito è proporzionato e l’errore gestibile. Insisti sulla preparazione, non sulla pressione.

“Si arrabbia quando non riesce.”
La frustrazione è naturale: serve un grado di sfida giusto e strumenti di autocorrezione. Nominare l’emozione aiuta la regolazione.

“Ci mettiamo il doppio del tempo.”
All’inizio sì. Poi il bambino guadagna velocità e fiducia. La fretta cronica costa cara cara sul lungo periodo.

Una super domanda per il genitore

In quale momento oggi posso fare un passo indietro (senza sparire) per lasciare a mio/a figlio/a un passo avanti reale?

Autonomia significa fidarsi del processo, non lasciare il bambino da solo. È educazione alla vita: ordine fuori, calma dentro, azione possibile.
Felici s’impara così: un gesto concreto al giorno, preparato con amore, osservato con pazienza, celebrato con verità.

Sempre immensamente grata,
Santina Bossini – family coach Montessori & life coach umanista
Allenatrice di felicità – DDF ��

29/05/2025

Artigiani di felicità

La fatica dietro la felicità

la fatica dietro la felicita

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29/05/2025

Artigiani di felicità

La fatica dietro la felicità

La fatica dietro la felicità

(ovvero: Felici si diventa, a piccoli passi e a muscoli caldi)

La felicità non è sempre rosa confetto.
Anzi, il più delle volte ha i colori sbiaditi del mattino presto, quelli che non fanno scena nelle stories, ma che raccontano il vero.

Spesso ci chiediamo: "Ma perché faccio così tanta fatica a essere felice?"
Come se la felicità dovesse pioverci addosso, come una benedizione casuale.
Ma la verità è che la felicità, quella vera, non è una benedizione.
È un’abilità.
È un allenamento.
E sì, richiede energia, presenza, disponibilità.

Felici s’impara, e si suda.

Il metodo che porto avanti – Felici s’Impara – nasce proprio da qui.
Dalla consapevolezza che la felicità è come un muscolo:
se non lo alleni, si atrofizza. Se lo alleni, ti cambia la postura della vita.

E non è solo una metafora. Martedì scorso, durante una serata indimenticabile con Elena Cherubini, abbiamo vissuto sulla pelle (letteralmente) quanto il corpo porti memoria.
Il corpo non mente: racconta la tua storia anche quando la mente vorrebbe rimuoverla.
Ed è proprio lì, nel corpo che si apre, che si allunga, che si radica, che la felicità prende una forma nuova: una postura che guarda in avanti, e che finalmente si sostiene da sola.

Non è la fatica a fare la felicità. È la scelta.

Nel mio lavoro, lo ripeto spesso: "Sei tu che scegli da che parte stare."
Ogni giorno, in ogni gesto, in ogni pensiero.
Scelgo se alimentare il mio malumore o allenare la mia gratitudine.
Scelgo se arrendermi ai vecchi schemi o attivare nuove possibilità.
Non è una questione di sacrificio, ma di consapevolezza.
La disciplina – diceva Maria Montessori – non si impone, si conquista.
Ed è proprio questa conquista gentile che rende stabile la nostra direzione.

Disciplina è amore che si struttura.

La disciplina non è fatica sterile.
È amore per sé che prende forma, con costanza.
È ciò che mi permette di tornare, ogni giorno, a ciò che conta.
Non servono punizioni o premi.
Davvero, non servono.
Perché premi e punizioni, anche quelli nascosti nelle frasi che ci diciamo (“Se riesco a fare tutto, allora valgo qualcosa”), alimentano un giudizio costante su di sé, inesorabile, in ginocchio davanti all’idea di dover sempre meritare qualcosa.

La disciplina, quella che serve alla felicità, non nasce dal bisogno di essere approvati, ma dal desiderio profondo di scegliere ciò che ci fa bene, ogni volta che possiamo.
È una forma di libertà, non di costrizione.
È l’arte di educare sé stessi con la stessa cura con cui si accompagnerebbe un bambino a crescere: con fermezza, sì, ma senza mai mettere in discussione il suo valore.

Quando smettiamo di premiarci solo “se siamo stati brave”,
e iniziamo a volerci bene “mentre lo siamo” e anche “quando non lo siamo”,
allora la disciplina diventa un atto d’amore.
Una fedeltà a se stessi che resiste anche quando tutto il resto vacilla.

Osservazione. Fiducia. Ambiente.

Tre parole che nella pedagogia Montessori sono rivoluzionarie,
e che nella mia esperienza diventano pilastri anche per la nostra felicità da adulti:

Osservazione: imparare a guardarsi dentro con sincerità. Non per giudicare, ma per comprendere. Osservare le emozioni, i pensieri, le reazioni. Osservarsi come si osserverebbe un bambino che si sta scoprendo.

Fiducia: avere fede nella possibilità di cambiare. Anche quando ci si è delusi mille volte. Anche quando l’autosabotaggio sembra avere la voce più forte.
Perché sì: siamo noi i primi a metterci i bastoni tra le ruote. Ma siamo anche gli unici a poterli togliere.

Ambiente: non solo quello esterno. Ma l’ambiente interno.
Come mi parlo? Come mi sostengo? Che parole uso con me stessa?
Se lo senti lo sai, canta Jovanotti. E io lo sento, ogni volta che aiuto qualcuno a creare dentro di sé uno spazio di pace. Perché se l’ambiente interiore è accogliente, anche la vita fuori cambia sapore.

Una domanda per te

Quando ti senti stanca e pensi che non ne valga la pena…
domandati: "Che tipo di fatica sto facendo? Quella che mi svuota o quella che mi costruisce?"

Allenarsi alla felicità è come correre sotto la pioggia:
all’inizio ti bagni e basta, ma poi impari a ballarci dentro.
Scopri che dietro la fatica, c’è energia. Dietro il dubbio, c’è un sì che ti aspetta.
E dietro ogni passo, c’è una nuova possibilità.

Con stima e gratitudine

Santina - La tua allenatrice di Felicità. 

 

 

24/04/2025

Le domande degli occhi

Ascoltare oltre le parole, rispondere ai bisogni con empatia

ascoltare oltre le parole rispondere ai bisogni con empatia

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24/04/2025

Le domande degli occhi

Ascoltare oltre le parole, rispondere ai bisogni con empatia

Ascoltare oltre le parole, rispondere ai bisogni con empatia

Certe domande non si fanno con la bocca.
Arrivano prima.
Le vedi negli occhi di un bambino che abbassa lo sguardo mentre lo richiami.
Nel broncio ostinato di un ragazzo che si chiude nella sua stanza e non vuole parlare.
Nel capriccio apparentemente senza senso, o nella rabbia che esplode troppo in fretta.

Sono le domande degli occhi. Quelle che non si dicono, ma si mostrano.

“Mi vedi?”
“Mi senti davvero?”
“Riesci a capire cosa sto cercando di dirti, anche se non trovo le parole giuste?”

Ecco dove comincia l’accoglienza empatica. Non nel risolvere il comportamento. Non nel trovare subito la soluzione. Ma nel fermarsi a vedere davvero l’altro.
E questo vale per i bambini, per i ragazzi… e per noi adulti. Perché anche noi, tante volte, abbiamo chiesto aiuto senza riuscire a dirlo.

Non è un capriccio, è una domanda di connessione

Molto spesso, nella fatica quotidiana di essere genitori o educatori, rischiamo di fermarci al comportamento che vediamo in superficie.
Un urlo, una porta sbattuta, un pianto inconsolabile, un silenzio ostinato. E il nostro primo istinto è correggere, contenere, spiegare, sistemare.

Ma il comportamento è solo la punta dell’iceberg.
Sotto, c’è un bisogno non riconosciuto, non ascoltato, non accolto.

Dietro la rabbia, può esserci il bisogno di essere ascoltati, di essere considerati.
Dietro la chiusura, il bisogno di sicurezza o di protezione.
Dietro il pianto, il bisogno di conforto, di vicinanza, di amore.

Come dice la Comunicazione Non Violenta di Marshall Rosenberg, ogni azione umana è un tentativo di soddisfare un bisogno. Quando impariamo a guardare oltre l’apparenza del comportamento, possiamo finalmente smettere di chiederci “Come faccio a farlo smettere?” e iniziare a chiederci:
“Di cosa ha bisogno in questo momento?”

Il potere di avere le parole giuste: il vocabolario dei sentimenti e dei bisogni

La Comunicazione Non Violenta ci invita a sviluppare una competenza spesso trascurata: dare nome alle emozioni e ai bisogni, allenarci a riconoscerli, a esprimerli, a stare accanto anche quando sono scomodi.

Quante volte diciamo ai bambini:

“Calmati!” (senza dire “Capisco che sei arrabbiato”)

“Non c’è motivo di piangere” (senza dire “Vedo che sei molto triste, cosa ti fa stare così?”)

Ma se non aiutiamo i bambini e i ragazzi a nominare quello che provano, resteranno prigionieri di reazioni che nemmeno loro capiscono.
Dotarsi di un vocabolario condiviso di sentimenti e bisogni diventa allora uno strumento educativo potente, che favorisce la consapevolezza e la fiducia.

Per esempio, invece di fermarci a dire:

“Sei sempre nervoso!”
potremmo imparare a dire:

“Sei frustrato perché forse avevi bisogno di essere ascoltato?”

O ancora, invece di:

“Non fare così, non serve arrabbiarsi!”
possiamo provare:

“Vedo che sei arrabbiato, forse perché avevi bisogno di rispetto e chiarezza?”

Ogni volta che aiutiamo un bambino (o un ragazzo, o un adulto) a riconoscere e a dare nome a quello che prova, stiamo facendo un atto di educazione alla libertà interiore. Stiamo costruendo le basi di una comunicazione più vera, più rispettosa, più umana.

Osservare, non giudicare: lo sguardo Montessori nella CNV

Maria Montessori ci ricorda che l’osservazione è il primo gesto d’amore educativo.
Non l’osservazione per controllare o per correggere, ma quella che nasce dalla curiosità, dall’interesse sincero per l’altro.
Uno sguardo che si allena a vedere senza etichettare, ad accogliere senza giudicare.

Questa stessa attitudine è il cuore della Comunicazione Non Violenta.
Essere presenti, ascoltare senza fretta, senza bisogno di “aggiustare” subito le cose. Stare con l’altro, anche nel disagio, nella fatica, nella rabbia, senza scappare.

Perché quando un bambino dice: “Non ti voglio più bene!”, spesso sta solo chiedendo:
“Mi vuoi bene lo stesso, anche adesso che sono arrabbiato?”

E rispondere a questa domanda non è questione di tecnica, ma di allenamento del cuore.

Per allenare questa competenza… comincia da te

Non possiamo aiutare i nostri figli a dare nome ai loro bisogni, se per primi non impariamo a riconoscere i nostri.
Allenarsi a sentire e a dire:

“Mi sento stanco, perché ho bisogno di riposo.”

“Mi sento frustrata, perché ho bisogno di collaborazione.”

“Mi sento felice, perché il mio bisogno di connessione è stato nutrito.”

È il primo passo per essere autentici, per educare alla libertà di esprimere ciò che si prova.
E ogni volta che lo facciamo, apriamo uno spazio sicuro dove le domande degli occhi possano finalmente trovare una risposta che cura.

Con gratitudine

Santina

la tua allenatrice di felicità

05/04/2025

Artigiani di felicità

 Ma davvero credi che si possa essere felici su questa terra???

ma davvero credi che si possa essere felici su questa terra

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05/04/2025

Artigiani di felicità

 Ma davvero credi che si possa essere felici su questa terra???

Come posso aumentare la mia autostima e fiducia in me stessa?

Molte donne si interrogano su come poter aumentare la propria autostima e affrontare con maggiore sicurezza le sfide quotidiane. Secondo Luca Stanchieri, life coach professionista e mio Maestro per eccellenza, l'autostima è una combinazione di amore, speranza e fiducia nella propria mente. Nel suo libro "Come allenare l'autostima e vivere sereni", propone 101 esercizi pratici per rafforzare l'io e sviluppare il proprio potenziale. Ed è proprio così: l'autostima non è qualcosa che si ha o non si ha. È una forza che si allena. Un seme che si coltiva ogni volta che scegliamo di rispettarci, di riconoscerci valore, di volerci bene. E ogni volta che lo facciamo, anche solo un po', qualcosa dentro di noi si raddrizza. Trova posto. Respira.

Quali sono le strategie per trovare un equilibrio tra vita personale e professionale?


Ma non basta sentirsi all’altezza: spesso, quando si parla di autostima, si intreccia un’altra grande domanda che tante donne mi pongono nei percorsi individuali o durante i corsi: “Come faccio a tenere insieme tutto?”
Lavoro, famiglia, relazioni, sogni personali… sembra che ogni parte della nostra vita chieda il 100%. E noi, nel tentativo di dare tutto, finiamo per sentirci sempre in difetto. Ma l’equilibrio non è una somma perfetta. È un'armonia dinamica, fatta di ascolto, priorità, e soprattutto, di presenza.Trovare questo equilibrio non significa diventare superdonne multitasking. Significa imparare a scegliere consapevolmente dove mettere energie e tempo, imparare a dire dei no giusti per poter dire dei sì veri.
Nel metodo Montessori si dice che “la vera disciplina nasce dalla libertà interiore”: vale anche per noi. Serve imparare ad ascoltare i propri bisogni, ad accettare che non possiamo essere ovunque, ma possiamo essere davvero presenti lì dove scegliamo di esserci.
Nel percorso Lasciati Brillare, lavoriamo anche su questo: imparare a bilanciare senza colpevolizzarsi, a scegliere con chiarezza, a vivere con leggerezza e intenzione. Perché felici, sì, s’impara. E anche l’equilibrio, se lo coltivi con amore, arriva.

Perché non riesco mai a dire di no?


Ed eccola lì, la domanda che punge come una spina sotto pelle: “Perché non riesco mai a dire di no?”
Dietro questa fatica si nasconde spesso una convinzione radicata: dire di no è egoismo, è deludere, è mancare d’amore. Eppure, ogni volta che dici sì contro te stessa, il prezzo lo paghi tu — in tempo, energia, benessere, serenità.
E sai una cosa? Non si tratta solo di assertività. Si tratta di identità. Imparare a dire no, nel mio approccio di coaching umanistico, significa riconoscere che valgo anche quando metto un confine, che posso amare senza annullarmi, che posso essere generosa senza svuotarmi.
E lo dico sempre anche alle mamme nei percorsi Montessori: educare un bambino al rispetto parte da noi. Da quanto ci rispettiamo, da quanto ci ascoltiamo, da quanto siamo capaci di prenderci cura dei nostri sì e dei nostri no. Nel laboratorio gratuito che ho creato lo scorso gennaio, Radici di Coraggio, tante donne si sono sorprese nello scoprire che dietro la paura di dire no c’erano potenzialità dormienti: la prudenza, la gentilezza, il senso di giustizia, pronte a mostrarsi in una forma nuova.
Nel percorso Lasciati Brillare, queste potenzialità le alleniamo sul serio. Perché un no detto bene non allontana: illumina chi sei davvero.

Perché sento che mi sto perdendo, anche se in teoria ho tutto?


Questa domanda arriva spesso sottovoce. Come un sussurro che si vergogna di esistere.
Hai un lavoro, una famiglia, magari anche dei momenti felici. Eppure dentro… qualcosa si è spento. Ti senti scollegata da te stessa. Come se fossi spettatrice della tua vita, più che protagonista.  Sai cosa rispondo, quando una donna mi dice questo?
Che non si è persa, ma si è dimenticata di ascoltarsi.
E non per colpa. Ma per amore. Perché per anni ha messo al primo posto gli altri. Ha fatto il possibile per tenere tutto insieme, per non deludere, per essere “brava”.
E in tutto questo, ha messo in pausa i suoi desideri più profondi, la sua creatività, le sue passioni, perfino la sua visione di sé. Nel mio lavoro, quando vedo queste anime luminose un po' offuscate, la prima cosa che faccio è aiutarle a riconnettersi alla loro unicità.
Non con un esercizio motivazionale, ma con un percorso vero: di ascolto, di sblocco, di riscoperta.
Come diciamo spesso nel metodo Montessori, la vita vera inizia quando l’ambiente permette al potenziale di emergere. E quell’ambiente, a volte, lo creiamo insieme.

Nel percorso Lasciati Brillare ci prendiamo il tempo per questo. Per tornare ad abitarci. Per ricucire il filo con noi stesse. E scoprire che c’è ancora tantissimo da dire, da fare, da essere.

Come posso essere felice davvero?


La felicità… quella vera. Non quella delle frasi fatte, delle immagini patinate o dei motivi da trovare a forza.
La felicità che cerchiamo quando ci sentiamo stanche. Quando ci domandiamo se c’è qualcosa di più. Quando sentiamo che la vita ci chiama… e non vogliamo più mettere il silenzioso.

Ma allora, che cos'è questa felicità “vera”?


Per me, non è uno stato da raggiungere, ma un modo di stare nella vita.
Un orientamento, come lo chiama il coaching umanistico, un nuovo sguardo come lo chiamo io. Una scelta quotidiana di guardarsi con benevolenza, di imparare da ogni caduta, di riconoscere e allenare ciò che di buono già c’è.
Felicità è sapere che hai valore, anche nei giorni in cui non produci nulla. È svegliarti e sapere che puoi essere te stessa, senza dover dimostrare, senza doverti guadagnare l’aria che respiri.

Montessori parlava della gioia profonda che nasce dal fare con le proprie mani. Ecco: la felicità si costruisce così.
Un passo alla volta, un esercizio alla volta, un giorno alla volta.
Non è perfetta. Ma è autentica. E ha il tuo volto.

Ed è questo il cuore del mio lavoro. Aiutarti a riconoscere le tue potenzialità, a farle fiorire, a illuminare la tua strada con ciò che già abita in te.
Il percorso Lasciati Brillare è nato proprio per questo: non solo per insegnarti ad essere felice, ma per accompagnarti a scoprire che puoi esserlo sul serio, a modo tuo e SOLO  a modo tuo. Qui. Su questa terra.

Ti riconosci in queste domande?


Allora forse è arrivato il tuo momento.
Non per stravolgere la tua vita, ma per tornare a viverla con pienezza. Per scegliere te. Per lasciarti brillare.

Il percorso Lasciati Brillare comincia sabato 3 maggio a Montichiari. Sono sei incontri, sei sabati pomeriggio, pensati per chi desidera fare un viaggio autentico dentro di sé, accompagnata con cura.

Se vuoi saperne di più, partecipa a uno dei webinar gratuiti di aprile, oppure scrivimi nel modo che ti va di più e sarà un piacere raccontarti tutto.

Perché sì: anche su questa terra, si può essere felici.

Con affetto,

Santina

16/03/2025

Artigiani di felicità

Ricominciare da te: trasformare il dolore in rinascita

ricominciare da te trasformare il dolore in rinascita

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16/03/2025

Artigiani di felicità

Ricominciare da te: trasformare il dolore in rinascita

Ricominciare da te: trasformare il dolore in rinascita

Quando ho vissuto la separazione e il divorzio, è stato un periodo duro e doloroso sotto molti aspetti: emotivo, affettivo ed economico. La mia famiglia – i miei genitori e mio fratello – è stata un sostegno essenziale per me e per mio figlio Carlo. La loro presenza discreta e costante ha rappresentato la base su cui ricostruire fiducia e speranza nel futuro.

Ho imparato che anche il dolore più profondo può essere attraversato e trasformato, ma prima di tutto va accolto con gentilezza. Ci sono stati momenti di sconforto in cui mi sono sentita sopraffatta, ma ho cercato di non respingere quelle emozioni. Ho imparato a stare con il mio dolore, ad ascoltarlo senza paura, senza volerlo soffocare o negare. Accoglierlo mi ha permesso di dargli un senso, di comprenderne il messaggio e di trasformarlo in una spinta per rinascere. Non mi sono mai lasciata definire da ciò che stavo vivendo: ero una persona che attraversava una fase difficile, non la mia difficoltà. Oggi, con il senno di poi, riconosco che quel passaggio è stato per il mio bene e per la mia crescita, perché mi ha insegnato a guardarmi con più amore e comprensione.

Accogliere il dolore per trasformarlo

La fine di una relazione importante può travolgerci con emozioni intense come rabbia, tristezza e senso di fallimento. Quest'ultimo, in particolare, può insinuarsi profondamente nella nostra identità, facendoci credere di non essere stati abbastanza, di aver sbagliato o di aver perso qualcosa di irrecuperabile. Spesso cerchiamo di evitare queste emozioni, temendo che ci schiaccino, ma la vera guarigione avviene quando ci concediamo di sentirle senza giudizio. Accettare il senso di fallimento significa riconoscere che una relazione finita non definisce il nostro valore personale, ma è solo una parte della nostra storia, da cui possiamo imparare e crescere.

Maria Montessori insegnava che la crescita passa attraverso l’osservazione paziente e non giudicante. Ho applicato questo principio a me stessa: ho osservato le mie emozioni, le ho accolte e comprese. In questo modo, il dolore ha smesso di essere un ostacolo e si è trasformato in una guida per la mia rinascita.

Nel coaching spirituale ho scoperto un principio prezioso: ogni emozione, anche la più dolorosa, ha un messaggio per noi. Quando ho chiesto al mio dolore cosa volesse insegnarmi, ho scoperto parti di me che avevano bisogno di essere viste e amate. Questo è stato il mio punto di svolta.

Non sei ciò che ti è successo: riprendere il dialogo con te stessa

Dopo una separazione, ci si sente spesso frammentati tra un “prima” e un “dopo”. Il "prima" rappresenta ciò che eravamo all'interno della relazione, con le nostre certezze e abitudini, mentre il "dopo" appare come una terra sconosciuta, spesso carica di paura e insicurezza. La tentazione di identificarsi con il dolore (“sono divorziata”, “sono stata tradita”) è forte, perché ci sembra che la nostra identità sia stata stravolta. Tuttavia, questa visione può diventare limitante: la fine di una relazione non è la fine della nostra storia, ma una svolta che può condurci a una versione più autentica e consapevole di noi stesse. La vera sfida è trasformare quel "dopo" in un'opportunità per riscoprire chi siamo, cosa vogliamo e come possiamo costruire una nuova vita su basi più solide e in sintonia con la nostra vera essenza.

Un elemento fondamentale nel metodo Montessori è l'importanza dell'ambiente e del contesto in cui viviamo. Quando affrontiamo un periodo difficile, ciò che ci circonda può influenzare profondamente il nostro benessere. Creare un ambiente che favorisca la serenità, il comfort e la rigenerazione interiore diventa essenziale. Circondarsi di persone che ci sostengono, riorganizzare gli spazi in modo che ci trasmettano armonia, dedicare del tempo a luoghi che ci fanno stare bene: tutto questo può fare la differenza nel processo di rinascita e guarigione. Il nostro contesto non è solo esterno, ma anche interno: prenderci cura dei nostri pensieri, delle nostre emozioni e del modo in cui ci parliamo è altrettanto importante. Quando costruiamo un ambiente che ci supporta, dentro e fuori di noi, possiamo ritrovare più facilmente equilibrio e fiducia nel futuro.

Cosa provo davvero in questo momento?

Di cosa ho bisogno oggi per stare meglio?

Quale piccolo gesto posso fare per me stessa?

Creare questo spazio di consapevolezza è il primo passo per ricostruire un senso di sé più autentico e libero.

Scoprire e valorizzare le proprie potenzialità

Nei momenti di crisi tendiamo a focalizzarci sulle mancanze, ma è proprio lì che possiamo riscoprire le nostre potenzialità: coraggio, resilienza, speranza. Allenare uno sguardo positivo non significa negare la difficoltà, ma imparare a riconoscere che, accanto al dolore, ci sono anche risorse preziose dentro di noi. La mente è abituata a concentrarsi su ciò che manca, ma possiamo educarla, con costanza e intenzionalità, a vedere anche le possibilità.

Come coach, vedo ogni giorno quanto sia potente questo approccio. Il cambiamento non è immediato, ma richiede pratica: iniziare con piccoli gesti quotidiani di gratitudine, celebrare i propri successi, riconoscere gli sforzi fatti. Ogni passo in questa direzione aiuta a costruire una mentalità più forte e aperta al futuro, trasformando le difficoltà in occasioni di crescita.

Anche nel mio percorso personale, attraversare il divorzio mi ha permesso di scoprire una forza interiore che non sapevo di avere. Ho imparato a fidarmi del mio istinto, a prendere decisioni con prudenza e a coltivare una speranza che ha aperto nuovi orizzonti. Questo processo di scoperta non solo mi ha aiutata a superare il dolore, ma ha trasformato profondamente il mio modo di vivere.

Ritrovare fiducia in sé e negli altri

Dopo un tradimento o una separazione, fidarsi di nuovo sembra impossibile. Il dolore crea muri, ma la fiducia è una scelta che possiamo compiere consapevolmente e che richiede coraggio, pazienza e impegno. Non è un atto impulsivo, ma un percorso che parte da noi stesse: decidere di fidarsi significa aprire uno spiraglio, anche piccolo, alla possibilità di ricostruire un rapporto positivo con noi stesse e con gli altri. La fiducia non è cieca, né deve essere imposta: è un processo graduale, che si nutre di esperienze, di ascolto interiore e di nuove consapevolezze. Scegliere di fidarsi non significa dimenticare ciò che è stato, ma imparare a non lasciare che il passato definisca il nostro futuro.

Il punto di partenza è ricostruire il rapporto con noi stesse. Conoscere meglio le nostre emozioni e bisogni ci aiuta a creare relazioni più sane, perché i sentimenti sono il filo conduttore di ogni esperienza di vita. Imparare ad accoglierli e ad esprimerli in modo autentico ci permette di riconoscerci e di farci riconoscere dagli altri, senza paura di essere giudicate. Un metodo efficace è la Comunicazione Non Violenta, che insegna non solo a esprimersi con chiarezza e rispetto, ma anche a valorizzare il mondo emotivo come risorsa fondamentale per costruire legami profondi e significativi.

Piccoli passi concreti, come aprirsi con una persona fidata, possono aiutarci a riscoprire il valore della fiducia e a sentirci più sicure nelle nostre scelte.

Riappropriarsi del futuro: il diritto alla felicità

Dopo una separazione, il futuro appare incerto e spaventoso. Ma l’incertezza non significa rassegnazione: significa accogliere la possibilità di un nuovo inizio e riconoscere che proprio nel disorientamento può celarsi un'opportunità di trasformazione. Quando tutto sembra sfuggire al nostro controllo, abbiamo la possibilità di imparare ad affidarci alla vita con più fiducia, a sviluppare nuove risorse interiori e a scoprire aspetti di noi stesse che prima non avevamo mai esplorato. L’incertezza diventa quindi una palestra per la crescita, un terreno fertile per allenare la capacità di adattamento, di resilienza e di apertura alle infinite possibilità che il futuro può offrirci.

Il primo passo è chiedersi: Cosa mi rende davvero felice? Cosa voglio per me stessa?

Nel coaching umanistico, incoraggio a individuare piccole azioni che portino gioia. Non serve stravolgere tutto in un giorno: la felicità si costruisce un passo alla volta. E come studentessa nel percorso per diventare Spiritual Coach, mi alleno a stare nell'ombra per riscoprire la luce. Accettare i momenti di buio, senza paura né fuga, significa permettersi di esplorare la profondità di sé stesse, riconoscendo che è proprio lì che nascono le intuizioni più autentiche e le trasformazioni più profonde. La luce non è assenza di ombra, ma la sua naturale evoluzione quando impariamo a integrarci con tutte le nostre parti, senza rifiutarne nessuna.

Piccoli passi concreti per ripartire

Riprendere in mano la propria vita quotidiana è un processo graduale. Gesti semplici, come creare una routine che ci fa stare bene o dedicarsi a una passione, possono fare una grande differenza.

Il metodo Montessori e il coaching umanistico offrono strumenti pratici per ritrovare equilibrio. Un esercizio utile è dedicare 10 minuti al giorno all’ascolto di sé: respirare, riconoscere le emozioni, compiere un piccolo gesto per il proprio benessere.

Questi passi creano basi solide per un nuovo capitolo di vita. Non serve avere fretta: la felicità si impara strada facendo, con curiosità e amore per la vita. La tentazione di cercare una soluzione immediata, un rimedio rapido per il dolore, è forte, ma forzare il cambiamento non aiuta. "Chiodo schiaccia chiodo" non funziona davvero, perché ogni ferita ha bisogno del suo tempo per guarire. Il vero percorso di rinascita avviene quando ci concediamo il tempo necessario per comprendere, accogliere e trasformare ciò che è stato, senza cercare scorciatoie.

Per concludere 

Il dolore non è una destinazione, ma un passaggio. Se lo attraversiamo con consapevolezza e amore per noi stesse, ci porta verso una versione più forte e autentica di noi. Come scriveva Carlos Castaneda, "Un guerriero prende ogni cosa come una sfida, non come una benedizione o una maledizione". Il dolore può sembrare una barriera, ma in realtà è una porta: accoglierlo significa permettergli di trasformarci, di renderci più sagge e più capaci di vedere la vita con occhi nuovi. È nell’attraversamento della sofferenza che scopriamo le risorse interiori che non sapevamo di avere, e impariamo a muoverci nel mondo con più fiducia e profondità.

La felicità non è un traguardo lontano, ma una scelta quotidiana. Ogni giorno possiamo decidere di onorare la nostra vita e i nostri desideri.

Benvenuta nel tuo viaggio di rinascita. Benvenuta in Happy Life Balance, dove la felicità si impara strada facendo.

20/10/2024

Giorni che contano

Come individuare i punti di forza di tuo figlio

come individuare i punti di forza di tuo figlio

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20/10/2024

Giorni che contano

Come individuare i punti di forza di tuo figlio

Come Individuare i punti di forza di tuo figlio

Ogni bambino, ogni ragazzo è un piccolo universo di potenzialità, e come genitori abbiamo l'importante compito di scoprire e valorizzare i suoi punti di forza. Nel metodo Montessori e nel coaching umanistico, il focus è proprio su questo: riconoscere le qualità uniche di ciascuna bambina e ragazza,  e allenarle per farle diventare la base della sua sicurezza e del suo benessere. Questo processo non solo costruisce autostima, ma crea anche un senso di appartenenza all’interno della famiglia, dove ciascuno ha un ruolo preciso e contribuisce al benessere comune.

Vediamo insieme come fare.

1. Osservare Consapevolmente: alla scoperta delle qualità uniche

Il metodo Montessori ci insegna che l’osservazione è il primo passo per conoscere davvero un bambino, e un ragazzo. Prenditi del tempo per osservare tuo figlio durante le sue attività quotidiane: mentre gioca, interagisce con altri bambini o si immerge in un progetto creativo. Noterai che ci sono momenti in cui brilla, mostrando qualità naturali come la curiosità, la pazienza, la creatività o la capacità di risolvere i problemi.

Cosa noti di speciale in tuo figlio?

Magari è un ottimo mediatore di conflitti, o è abile nel far ridere gli altri quando c’è "maretta" in famiglia. Potrebbe avere un talento naturale per seguire istruzioni tecniche con precisione (per esempio quando di montano di mobili!!!), o mostrare una calma sorprendente nei momenti di crisi.

L'osservazione consapevole ti permette di scoprire queste qualità nascoste e di iniziare a valorizzarle in modo concreto.

2. Creare esperienze di successo: Il potere del fare

Per aiutare tuo figlio a scoprire e riconoscere i suoi punti di forza, è importante che faccia esperienza di successo. Offrigli attività e compiti che possano sfidarlo in modo positivo, senza essere troppo difficili o frustranti. L’idea montessoriana di proporre materiali e attività alla portata della bambina, o della ragazza, ma capaci di stimolarlo, è fondamentale in questo processo. Non troppo facili, da far perdere lo stimolo, e nemmeno troppo difficili da far perdere l'entusiasmo. 

Prova con attività diverse: cucinare insieme, lavorare in giardino, risolvere puzzle, dipingere o fare piccoli lavori manuali. Queste esperienze permettono di osservare in quale ambito tuo figlio si sente più sicuro e competente, offrendoti indizi su dove risiedono i suoi punti di forza.

3. Il feedback positivo: seminare fiducia e consapevolezza

Una volta individuate le qualità di tuo figlio, è essenziale offrirgli un feedback positivo e specifico. Nel coaching umanistico, si lavora molto sul rinforzo delle potenzialità, perché è da lì che nasce la fiducia nelle proprie capacità.

Sii chiaro e concreto: "Sei davvero capace a risolvere i problemi, mi è piaciuto molto come hai trovato una soluzione quando non sapevamo cosa fare!" oppure "La tua capacità di farci sorridere quando siamo tutti un po' nervosi è preziosa, grazie!"

Quando un bambino, o un ragazzo,  riceve messaggi chiari su ciò che fa bene, impara a riconoscere quelle qualità come parte di sé e inizia a costruire una solida autostima.

4. Costruire un ruolo nella squadra familiare

Far sentire tuo figlio parte della famiglia, con un ruolo chiaro e riconosciuto, è un passo importante. Ogni famiglia è come una squadra, dove ogni membro contribuisce con le proprie qualità e capacità. Il metodo Montessori incoraggia a responsabilizzare i bambini, come i ragazzi, e a farli sentire partecipi fin da piccoli, coinvolgendoli in attività quotidiane che possano valorizzare i loro talenti.

Coinvolgilo nelle attività familiari: se tuo figlio è bravo in cucina, lascia che sia il "piccolo chef" di casa. Se ha un talento per far ridere, fagli sapere quanto apprezzi la sua capacità di portare leggerezza nei momenti difficili. Se è particolarmente bravo a seguire istruzioni tecniche, magari può aiutarti nei piccoli progetti di bricolage.

Questo aiuta tuo figlio a sentirsi utile e a percepire il valore delle proprie capacità all’interno della famiglia, rafforzando il suo senso di appartenenza e di autostima.

5. Coltivare un clima di fiducia e libertà

Creare un ambiente familiare di fiducia e apertura è fondamentale per favorire l’espressione delle potenzialità dei bambini. Il coaching umanistico si basa sull’amore per la vita e la fiducia nel proprio percorso, ed è importante che i bambini si sentano liberi di sperimentare e di esprimere le loro qualità senza paura del giudizio.

Favorisci un clima positivo in cui il bambino si senta accolto, amato e libero di essere se stesso. Questo incoraggia la sua crescita e lo aiuta a sviluppare consapevolezza delle proprie potenzialità in un contesto di sicurezza e amore.

In conclusione ti lascio delle domande per riflettere.

Per aiutarti a scoprire e valorizzare i punti di forza di tuo figlio, o di tua figlia ecco alcune domande che puoi porti:

In quali momenti vedo brillare mio figlio/a?

Cosa posso fare oggi per favorire lo sviluppo dei suoi punti di forza?

Come posso comunicargli, in modo positivo e costruttivo, che apprezzo le sue qualità?

Ricorda, il compito di un genitore è accompagnare, osservare e riconoscere i talenti unici del proprio bambino/a, come dei propri ragazzi o ragazze,  creando così un ambiente familiare ricco di crescita, amore e felicità condivisa. 

23/09/2024

Le domande degli occhi

Senso di Colpa: comprendere, accettare e trasformare uno stato d'animo, comune tra le mamme.

senso di colpa comprendere accettare e trasformare uno stato d animo comune tra le mamme

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23/09/2024

Le domande degli occhi

Senso di Colpa: comprendere, accettare e trasformare uno stato d'animo, comune tra le mamme.

Senso di colpa: comprendere, accettare e trasformare uno stato d'animo, comune tra le mamme.

Colpa e senso di colpa sono due cose che viviamo spesso, anche se in modo diverso. La colpa riguarda un’azione: è quando violiamo una norma, che sia volontariamente o per caso. Il senso di colpa, invece, è quel sentimento che ci fa stare male per aver fatto qualcosa che non va. Mentre la colpa ha conseguenze oggettive – ad esempio se rubi, sai che rischi una punizione o che devi riparare il danno – il senso di colpa è qualcosa di più personale e interiore, e spesso nasce da una sensazione di aver deluso qualcuno o infranto un tacito accordo, anche quando non c'è una vera "infrazione".

Mamme? Ci siete? vi voglio sul pezzo!!!

Pensiamo al rapporto tra madri e figli, per esempio. Non c’è una legge che dice che una madre deve essere sempre disponibile, perfetta o non sbagliare mai. Eppure, quante volte una mamma si sente in colpa perché non riesce a dedicare abbastanza tempo ai suoi figli, o perché non ha fatto abbastanza per loro? Che poi...cosa vuol dire abbastanza? abbastanza per chi? 

Magari la mamma lavora, corre tutto il giorno per la famiglia, e quando arriva la sera, stanca, si sente in colpa perché non ha avuto il tempo di giocare con i suoi bambini o di aiutarli come avrebbe voluto. E il bello è che i figli non glielo chiedono nemmeno esplicitamente, ma lei sente comunque di aver deluso delle aspettative – forse sue, forse quelle che la società ci impone su cosa significa essere una “buona madre”.

Il senso di colpa è quindi un’emozione soggettiva, che spesso ci portiamo dentro anche quando non ci sono colpe reali. Pensiamo a un' altra mamma che, per esigenze di lavoro, deve lasciare il figlio con i nonni. Non ha fatto nulla di male, anzi, ha trovato una soluzione che permette a tutti di andare avanti. Eppure, nel profondo, si sente in colpa. Si chiede se sia una buona madre, se stia facendo il meglio per il suo bambino. Magari ha paura che suo figlio si senta trascurato o che le imputi qualcosa più avanti. E qui emerge il legame tra il senso di colpa e il giudizio degli altri, o meglio, il giudizio che pensiamo possano avere di noi. È una sensazione che ci accompagna spesso, e a volte, diventa così pesante che condiziona le nostre scelte, spingendoci a fare ciò che crediamo gli altri si aspettino da noi, anche a discapito di ciò che vogliamo davvero.

Il senso di colpa è un’emozione “sociale”, cioè nasce dal confronto con gli altri, dalle loro aspettative su di noi. Non è come la rabbia o la paura, che sono emozioni innate: il senso di colpa si costruisce nel tempo, mano a mano che ci integriamo nella società, che impariamo cosa è giusto e cosa è sbagliato. Ma è anche un’emozione che può essere usata per manipolare gli altri. Quante volte un figlio dice alla mamma “Non mi hai fatto questo!” oppure “Non mi vuoi bene abbastanza”? Magari non lo fa con cattiveria, ma la mamma immediatamente sente quel pungiglione dentro, quel senso di colpa che le dice che avrebbe potuto fare di più.

Il problema è che, se lasciato senza controllo, il senso di colpa può diventare ingombrante e influenzare il nostro modo di vivere. Prendiamo un’altra situazione: una madre che non riesce a dire “no” al figlio per paura di sentirsi in colpa. Il figlio vuole qualcosa, e lei, anche se pensa che non sia giusto o che non sia il momento, cede. Perché? Per evitare di provare quel fastidioso senso di colpa che la fa sentire una madre sbagliata. Ma in questo modo, il senso di colpa ci porta lontano dai nostri reali obiettivi.

Come possiamo allora alleggerire questo peso?

Un modo è rivedere il nostro ruolo e capire che non tutto dipende da noi. Sentirsi in colpa per il dolore di qualcun altro non significa che siamo onnipotenti o che tutto sia sotto il nostro controllo. A volte, ci sentiamo responsabili per qualcosa che non dipende da noi, e ridimensionare questa visione può aiutarci a ridurre l’intensità del senso di colpa.

Per concludere, il senso di colpa lo conosciamo tutti, ma non dobbiamo lasciare che ci controlli. È naturale sentirlo, ma può anche essere un segno di crescita. Quando scegliamo di fare qualcosa per noi, sapendo che magari deluderà le aspettative degli altri, potremmo sentirci in colpa, ma questo non significa che stiamo sbagliando. Anzi, a volte quel senso di colpa ci ricorda che stiamo prendendo la nostra strada, e questo è un piccolo prezzo da pagare per la nostra autonomia e maturità. Essere responsabili delle nostre scelte non significa  sentirsi colpevoli: significa agire consapevolmente e accettare le conseguenze, sapendo che stiamo facendo del nostro meglio.

Ti propongo un allenamento alla riflessione personale con queste domande:

Qual è la mia definizione di "essere una brava madre"? Le aspettative che ho su di me derivano dai miei valori o da quello che credo gli altri si aspettino da me?

Quanto spesso mi sento in colpa per non aver fatto abbastanza per i miei figli o per la mia famiglia? È un sentimento legato a una reale mancanza o è più una percezione che mi sto creando?

Quali sono le situazioni in cui provo più frequentemente senso di colpa? Cosa posso fare per cambiare il mio approccio a queste situazioni, trovando un equilibrio tra i miei bisogni e quelli degli altri?

Come posso essere più gentile con me stessa quando non riesco a soddisfare tutte le aspettative? Quali sono i piccoli passi che posso fare per perdonarmi e accettare che non devo essere perfetta?

Queste domande potrebbero offrirti uno spazio di riflessione e aprire nuove possibilità per trovare un equilibrio tra responsabilità, esigenze personali e relazioni con gli altri.

Con stima,

Santina

 

24/07/2024

Giorni che contano

L'autopreparazione del genitore

l autopreparazione del genitore

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24/07/2024

Giorni che contano

L'autopreparazione del genitore

L'autopreparazione del Genitore: Un Viaggio di Scoperta e Crescita

Iniziare il cammino genitoriale è un'esperienza straordinaria, piena di gioie, sfide e infinite sorprese. Maria Montessori, nel suo libro "La mente del bambino", sottolinea quanto sia importante per noi insegnanti montessoriani prepararsi interiormente per comprendere e supportare al meglio i bambini. Questa autopreparazione è altrettanto essenziale per i genitori, che intraprendono un viaggio meraviglioso e, a volte, tremendo di scoperta di sé stessi e del proprio figlio.

Come per un'insegnante montessoriana, anchevoi genitori dovete dotarvi di una specie di "fede" nel processo di crescita del bambino. È fondamentale liberarsi da preconcetti riguardanti ciò che i figli possono o non possono fare. Invece, occorre osservarli con mente aperta e cuore fiducioso, sapendo che ogni bambino si rivelerà attraverso il proprio lavoro e le proprie esperienze. Questo è il famoso "Segreto dell'Infanzia".

Il Potere dell'Osservazione

L'osservazione è una delle chiavi del metodo Montessori. Ne ho parlato e scritto molto. E insisto ancora. Per un genitore, osservare il proprio figlio significa dedicare del tempo per capire chi è veramente, quali sono le sue passioni, le sue difficoltà e i suoi progressi. Prendiamo ad esempio la piccola Margherita, che a soli tre anni passava ore a costruire torri con i  blocchi di legno della Torre Rosa. Un osservatore attento noterebbe non solo la sua abilità motoria fine, ma anche la sua determinazione e concentrazione. Queste sono le qualità su cui voi genitori potete costruire, supportare e incoraggiare lo sviluppo dei vostri figli. 

Liberarsi dai Preconcetti

È facile cadere nella trappola dei preconcetti. Spesso i genitori hanno aspettative specifiche su ciò che i loro figli dovrebbero fare o su come dovrebbero comportarsi. Ma ogni bambino è unico e ha il proprio ritmo di crescita. Un buon esercizio è quello di prendere nota di tutte le volte in cui ci troviamo a dire "Dovresti essere capace di..." e sostituirlo con "Mi chiedo cosa ti piacerebbe provare oggi." Questo semplice cambiamento di prospettiva può fare una grande differenza.

Concentrarsi sui Punti di Forza

Imparare a vedere i punti di forza dei propri figli, invece di concentrarsi solo sulle loro debolezze, è un passo fondamentale. Ad esempio, se Marco ha difficoltà con la matematica ma ama le storie, potremmo utilizzare la sua passione per migliorare le sue abilità matematiche,  raccontando storie più e più volte, così che la passione per le storie dia a Marco la forza, la determinazione e il desiderio per migliorare anche la matematica. 

Consigli Pratici

Osserva senza giudicare: Prenditi del tempo ogni giorno per osservare il tuo bambino mentre gioca o svolge attività quotidiane. Annota ciò che noti senza giudicare. Sembra facile, ma non lo è. Attenzione agli aggettivi...bello, brutto, buono, cattivo, giusto, sbagliato...sono tutti giudizi!!!

Focalizzati sui progressi: Ogni piccolo passo avanti è un successo. Festeggia i progressi e usa il rinforzo positivo.

Crea un ambiente stimolante: Proprio come un ambiente Montessori è progettato per facilitare l'apprendimento, anche la tua casa può essere un luogo di scoperta e crescita.

Comunica in modo positivo: Usa un linguaggio che incoraggi e supporti. Invece di dire "Non sei bravo in matematica," prova con "Sei molto creativo, possiamo usare la tua creatività per risolvere questi problemi di matematica." Invece di dire "Non salire sullo scivolo" usa "Sali dalle scale". 

In conclusione essere un genitore è un viaggio di crescita e scoperta continua, per te e il tuo bambino. Prenditi il tempo per osservare, capire e supportare il tuo piccolo esploratore. Ricorda, la fede nelle capacità innate del tuo bambino e l'attenzione ai suoi punti di forza possono trasformare ogni sfida in un'opportunità di crescita reciproca.

16/06/2024

Artigiani di felicità

Voglio una vita senza problemi!!!

voglio una vita senza problemi

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16/06/2024

Artigiani di felicità

Voglio una vita senza problemi!!!

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Davvero?

Reagiamo alle minacce in modo immediato, perché i nostri processi di percezione cercano in qualche modo di prevenirle. Questo fatto, questo pessimismo dell’istinto viene da molto lontano, da quando le minacce erano fattori naturali o materiali, pensate per esempio, alla mancanza di cibo o ai predatori in agguato.

Oggi, se pur senza queste minacce reali a livello materiale, ci sentiamo, spesso minacciati a livello relazionale, nelle nostre case, sul lavoro, sulle strade che percorriamo.  Questo principio, chiamato “inclinazione alla negatività” del filosofo Haidt, ci ha profondamente disorientato, nel passaggio temporale da minacce naturali a minacce culturali. Pensate che nei rapporti matrimoniali servono almeno cinque azioni buone e costruttive per riparare a una sola critica distruttiva, mentre nelle imprese, ci vogliono cinque clienti che parlino bene per neutralizzarne uno che invece, parla male, dell’azienda o dei prodotti.

Insomma la nostra mente reagisce alle “cose brutte” più in fretta che alle “cose belle”. E il nostro sistema di ragionamento, sentimento e comportamento è governato da strutture di motivazioni opposte, da un lato una struttura di avvicinamento che nasce da emozioni positive e spinge “verso” certe cose, e dall’altro lato una struttura di ripiegamento, che invece scatena emozioni negative e spinge “lontano” dalle cose, come in ritirata.

Per la ricerca della felicità è importante conoscere entrambe le strutture, perché sono sempre attive tutte e due, e anche producono, allo stesso tempo, motivazioni opposte.

Quando vorreste uscire dalla zona di confort, ma una vocina interiore, una sensazione, sembra chiamarvi indietro e dirvi: “stai qui, tranquillo, stai qui, non ti turbare”; eccola qui l’inclinazione alla negatività… proteggiti, difenditi e sopravvivi…puoi essere felice lo stesso…o almeno credi di esserlo… è come se ti dicessi… “io problemi non ne voglio”.

Io, che non sono così colta come i filosofi, lo chiamo il complesso del maiale: che stai bene, se stai male. Va bene anche così, comunque, a patto che tu sia felice! Per davvero.

Spesso, però, questa formula “life no problem” s’infrange in un nervosismo, a volte immotivato ed esagerato, per esempio nel parcheggio che non si trova, o nella coda al semaforo, nelle bollette da pagare o nell’aumento dei prezzi, nei rumori dei vicini di casa o nella pagella dei figli…insomma desiderare una vita senza problemi è un desiderio irrealizzabile…proprio perché il rapporto con la natura, con gli altri, con noi stessi ci presenta una serie infinità di difficoltà che da sempre siamo chiamati ad affrontare.

Prepariamoci allora ad affrontare le difficoltà della vita, in un’ottica di Coaching umanistico e con un atteggiamento di proattività:

  • conosciamo e alleniamo le nostre potenzialità,
  • impariamo a ri-conoscere i nostri punti di forza,
  • prendiamo consapevolezza dei nostri paradigmi limitanti.

Perché i tre punti, fondamentali, che vi ho elencato servono come benzina e motore per affrontare e superare tutte le nostre difficoltà. In quanto se è vero che di fronte alle avversità non esiste una formula magica, o una garanzia e nemmeno una ricetta sicura per il loro superamento, e anche vero che di fronte alle avversità abbiamo molte possibilità di scelta nella nostra reazione di fronte ad esse, e la crescita, la nostra crescita personale può essere una di quelle possibilità scelta.

La felicità s’impara!

 

 

 

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