Foto genitori con bambino neonato

Happy Life Balance
Felici s’impara.

 

Foto genitori con bambino neonato

 

Chi sono

Sono una donna, fiera del mio femminile. Una mamma, una compagna, una coach umanista, un’educatrice Montessori, e tutti questi ruoli, che il momento presente mi sta donando, sono accomunati dalla stessa visione che ho della vita meravigliosamente complicata.

In pochissime parole amo definirmi una Allenatrice di Felicità

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La mia mission

Essere una portatrice sana di felicità che ne diffonde la cultura e l’allenamento quotidiano nella palestra della vita.

La felicità è il mio pallino per aver sperimentato in prima persona che, non solo la felicità è possibile, ma è qualcosa che si può imparare, mettendo d’accordo l’Essere, il Fare e l’Amare per realizzare una vita piena di senso e di significato.

Lo dico da persona umana imperfetta e che ha una vita meravigliosamente complicata, plasmata dal signor Errore con cadute e rialzate, anche importanti, ma sempre in continua crescita verso una migliore versione di me. Scopri di più

Rubriche recenti

Questo spazio dedicato alle mie rubriche vuole essere un "posto" di condivisione e comunanza di esperienze di vita.

29/09/2025

Giorni che contano

Autonomia che libera, non che stressa

foto della rubrica

Autonomia che libera, non che stressa

Introduzione 

A te che stai leggendo e che ci provi ogni giorno: ti vedo. Vedo la fatica buona di chi vuole educare con rispetto, senza urla, senza punizioni inutili, coltivando una casa che profumi di fiducia. Se credi — come me — nell’educazione alla felicità, sai già che non esistono scorciatoie: esiste il lavoro quotidiano, fatto di tentativi, aggiustamenti, consapevolezza. A volte funziona, altre no. È normale.

Qui trovi strumenti concreti: routine, frasi guida, ambienti a misura. Ma la differenza la farà una sola cosa: DDF – Darsi Da Fare. Il resto sono alibi eleganti. DDF significa mettere in pratica: osservare senza giudizio, preparare l’ambiente, scegliere una sola cosa e rifarla finché diventa abitudine. Significa anche preparare te, come adulto: respiro, ritmo, tono — perché l’ambiente più potente sei tu.

Nel mio coaching umanistico, l’allenamento dei punti di forza è un pilastro: riconoscerli nel bambino (persistenza, cura, attenzione) e in te (costanza, presenza, integrità) cambia il clima della casa più di mille spiegazioni. Alleni ciò che vuoi vedere crescere. Questo articolo è un invito ad allenare ogni giorno un gesto, una parola, una scelta.

Poco, bene, adesso. Felici s’impara così.

Sommario

Cosa intende davvero Maria Montessori

Mito da sfatare: autonomia ≠ “fa tutto da solo”

I tre pilastri dell’autonomia (e perché funzionano)

Le 3 routine-ponte che costruiscono autonomia (senza ansia)

Errori comuni (da adulti affettuosi ma stressati)

Il ruolo dell’ambiente: il vero maestro

Come si parla all’autonomia (linguaggio adulto)

Metodo in azione: il “controllo dell’errore”

Allenamento di 7 giorni – “Aiutami… a fare da me”

Checklist pratica (salvala sul frigo)

Quando l’autonomia “stressa”: segnali da ascoltare

Osservazione: il taccuino dell’adulto

Mini-FAQ (secondo Montessori)

Una domanda potente per il genitore

Cosa intende davvero Maria Montessori

Autonomia come processo interiore: Per Montessori l’autonomia non è “saper fare da soli” in senso tecnico, ma diventare capaci di iniziativa, autocorrezione e scelta responsabile. È un processo che nasce dalla mente assorbente (0–6 anni), cioè dalla straordinaria capacità del bambino di interiorizzare l’ambiente. Quando l’adulto prepara contesti chiari e offre presentazioni lente dei gesti, il bambino organizza ciò che vede dentro di sé, sviluppando fiducia e competenza. L’autonomia, quindi, è un effetto naturale di un ambiente giusto e di un adulto che osserva, più che l’obiettivo diretto di “far fare”.

Mito da sfatare: autonomia ≠ “fa tutto da solo”

Responsabilità progressiva: Montessori parla di libertà entro confini: il bambino è libero di agire lì dove l’ambiente lo rende possibile e sicuro. L’adulto non delega, accompagna. La responsabilità cresce a piccoli scatti, secondo tappe maturative e periodi sensitivi (ordine, movimento, linguaggio, socialità…). Anticipare o spingere è controproducente: genera stress e resistenze. Il criterio è: mostro – affido un pezzetto – resto vicino – mi ritiro.

Autonomia non è “arrangiati”, ma “aiutami a fare da me”.

L’errore non è colpa: è informazione per il passo successivo.

Approfondiamo il concetto di Libertà entro confini e responsabilità progressiva

Che cosa significa davvero “libertà entro confini”

Il bambino è libero di agire solo dove l’ambiente e l’adulto hanno reso l’azione possibile, sicura e comprensibile.
Un confine sano è:

  • chiaro (spiegato in anticipo),
  • coerente (si ripete),
  • proporzionato all’età e
  • rassicurante (contiene, non punisce).

Esempi quotidiani:
• Versare l’acqua: brocca piccola, panno vicino. Confine: “Si versa da seduti, sul vassoio.”
• Coltellino seghettato per frutta morbida (4–6): tavoletta, dita a “granchio”. Confine: “Si taglia solo qui e solo la frutta.”
• Scaffale vestiti: 2 opzioni per capo. Confine: “Scegli tra questi due e poi riponi l’altro.”

L’adulto accompagna, non delega (tieni a mente questo acronimo AME – Aiuto Minimo Efficace)

Attesa (5–10 sec).

Segnale non verbale (indico/mostro).

Parola breve (“Prova dall’inizio della zip”).

Tocco puntuale (sostengo solo il pezzo critico).

Dimostrazione lenta (se bloccato del tutto).
Quando mi ritiro: ripete la sequenza, ti guarda meno, usa da sé panno/specchio/checklist.

Responsabilità a piccoli passi (es. vestirsi 3–6)
Scatto 1: mette solo le calze →
Scatto 2: introduce la sequenza (testa–maniche–giù) →
Scatto 3: aggiunge la cerniera.
A ogni passo del bambino,  l’adulto fa un passo indietro.

Periodi sensitivi (perché contano)
• Ordine (≈1–4): posto fisso per oggetti, routine stabile → facilita la sequenza.
• Movimento (0–6): vita pratica continua (versare, travasare, aprire/chiudere).
• Linguaggio (0–6): istruzioni brevi, uguali.
• Socialità (3–6): regole condivise, incarichi reali (apparecchiare 2 posti).

Come riconoscere quando stai spingendo troppo
Indicatori: fretta cronica, opposizione rigida, pianto “a tappeto”, evitamento stabile.
Cosa fare: riduci complessità (meno passaggi), ripresenta lentamente, allunga i tempi (parti 10’ prima), verifica accessibilità degli strumenti.

Algoritmo quotidiano da avere sempre in testa: — mostro → affido un pezzetto → resto vicino → mi ritiro

Mostro (30–60 sec, lento, parole minime). Frase: “Guarda le mie mani.”

Affido un pezzetto (il tratto più facile). Frase: “Provi tu fin qui.”

Resto vicino (AME): attendo, segnalo, una parola, un tocco. Frase: “Ti serve aiuto?” (aspetta la risposta!!! e se è NO, è NO, non aiutare).

Mi ritiro quando riesce 3 volte di fila o gestisce l’errore.

Tre micro-scenari
• Cucina – versare: setup (brocca+bicchiere+panno). Mostro → affido metà → ritiro.
• Uscire – chiudere la giacca: gancio basso, tappetino; aggancio cursore → tiri tu.
• Bagno – denti: clessidra 1–2’, 4 zone; oggi due tu, due io → domani tre tu, una io.

Frasi utili (pronte, brevi, montessoriane)
“Provi tu, io resto qui.” · “Ti mostro solo l’inizio.” · “Quale pezzo fai tu?” · “Ti serve aiuto?” · “Se sbagli, c’è il panno: fa parte dell’imparare.” · “Una cosa alla volta.”

I tre pilastri dell’autonomia (e perché funzionano)

Ambiente, libertà, osservazione: Montessori definisce l’ambiente il vero “maestro”. Un contesto ordinato esternamente sostiene l’ordine interno del bambino (funzione dell’ordine). La libertà entro confini evita sia il caos che l’obbedienza cieca, e nutre scelta e autocontrollo. L’osservazione dell’adulto (quaderno alla mano) è lo strumento per calibrare aiuti e richieste senza invadere.

E l’ambiente interno del genitore?
Accanto allo spazio fisico, Montessori richiama la qualità interiore dell’adulto: presenza, autoregolazione emotiva, tono di voce, ritmo e coerenza. Un adulto centrato, risolto,  diventa egli stesso “ambiente”: contiene con limiti chiari e gentili, rispecchia nominando le emozioni senza giudizio, regola passando dalla reattività alla risposta. Prima si prepara la stanza, poi ci si prepara: un respiro che rallenta, una postura che invita, aspettative proporzionate, una parola in meno e un minuto in più di osservazione. Questo clima interiore rende possibile la libertà entro confini e sostiene la costruzione della volontà del bambino.

Ambiente preparato: pochi materiali veri, chiari, accessibili, a misura.

Libertà entro confini: regole brevi, coerenti, prevedibili.

Osservazione: guardo ritmi, interessi, frustrazioni; cambio il contesto prima di cambiare il bambino.

Le 3 routine-ponte che costruiscono autonomia (senza ansia)

Routine come “micro-laboratori di volontà”: Le routine quotidiane sono palestra di funzione esecutiva: attenzione, memoria di lavoro, pianificazione. Presentate bene, diventano materiali di vita pratica che sviluppano coordinazione, concentrazione e volontà (saper iniziare, proseguire, finire). Ogni routine sotto include: preparazione → presentazione → pratica → autocorrezione.

1) Vestirsi

Cornice Montessori: la vita pratica affina movimento volontario e sequenza logica; la mano è lo “strumento dell’intelligenza”.

Ambiente: cassetto basso; 2 alternative per capo (periodo sensitivo per l’ordine → poche scelte).

Presentazione lenta: mostra la sequenza una volta, con movimenti lenti e parole essenziali (modellamento).

Pratica: lascia provare; intervieni solo se bloccato, partendo dal punto di blocco.

Controllo dell’errore: specchio a misura; la maglia rovesciata “dice” da sola cosa non torna.

Frase guida: “Provi tu, io sono qui.”

2) Apparecchiare/riordinare la tavola

Cornice Montessori: ordine esterno → ordine interno; cura di sé e dell’ambiente = educazione morale concreta.

Ambiente: vassoio con tovaglietta, posate, bicchiere; panno per imprevisti a portata.

Presentazione: posizionare oggetti sempre nello stesso ordine (sinistra→destra), favorendo orientamento spaziale.

Pratica: incarico stabile (“oggi prepari due postazioni”).

Controllo dell’errore: se cade l’acqua, asciuga il bambino: l’imprevisto è parte dell’apprendere.

Rituale: 10 secondi di respiro insieme: setta attenzione e tono.

3) Uscire di casa

Cornice Montessori: prevedibilità e tempo sufficiente preservano la volontà; la fretta erode autonomia.

Ambiente: gancio basso per giacca, cesto scarpe, borraccia accessibile; checklist visiva “scarpe–giacca–acqua”.

Presentazione: agganciare e sganciare la giacca lentamente, mostrare il gesto delle cerniere.

Pratica: timer gentile 5–10’ prima: “Quando suona, provi tu.”

Controllo dell’errore: tappetino per sedersi a rimettere la scarpa che “scappa”.

Errori comuni (da adulti affettuosi ma stressati)

Come l’adulto può sabotare senza volerlo: L’amore è il motore, ma non basta: serve essere preparati. L’adulto è ponte tra bambino e ambiente: troppo aiuto impedisce la costruzione della volontà, troppo poco crea insicurezza. La buona intenzione, senza metodo, genera confusione e stress.

Cosa significa “essere preparati” (in chiave Montessori)

Preparazione interiore: respiro, tono di voce, postura, ritmo, aspettative proporzionate; passare dalla reattività alla risposta.

Preparazione tecnica: presentazioni lente e complete, una sequenza alla volta; uso dell’AME – Aiuto Minimo Efficace (attesa → segnale → parola → tocco → dimostrazione); predisporre controlli dell’errore (specchio, panno, checklist).

Preparazione dell’ambiente: accessibilità reale, pochi materiali, ordine visibile, strumenti veri e sicuri.

Errori tipici: cosa evitare

Sostituzione (“faccio io, così non soffri”) → ruba esperienza e volontà.

Iper-direttività (troppe parole e correzioni) → spegne l’iniziativa.

Fretta/urgenza cronica → trasmette ansia, interrompe la concentrazione.

Lode generica (“bravissimo!”) → alimenta dipendenza dall’approvazione, non competenza. (la trovi anche dopo in modo più approfondito)

Tre criteri pratici per non sabotare

Prima mi centro, poi intervengo (3 respiri + frase guida: “Provi tu, io sono qui”).

Mostro → affido → attendo → mi ritiro (non salto passaggi).

Osservo e calibro: se la frustrazione è stabile, riduco la complessità e preparo meglio ambiente e sequenza.

I segnali positivi che il ponte è solido

Il bambino prova, chiede aiuto mirato e usa strumenti di autocorrezione (specchio, panno, checklist).

L’adulto parla meno, descrive di più, celebra l’impegno e non solo il risultato.

Il clima resta calmo anche nell’errore: l’errore diventa lavoro, non colpa.

La routine procede con meno richiami e più iniziativa spontanea.

I tempi si accorciano naturalmente senza fretta imposta.

Segnali di rischio (da monitorare)

Ti ritrovi a offrire troppe scelte (più di 2) e noti confusione o blocco.

Entri in aiuto automatico (“faccio io così facciamo prima”) e il bambino smette di provare.

Lode generica ("bravissimo!")
Perché è un problema: all’apparenza sembra incoraggiare, ma in realtà può alimentare dipendenza dall’approvazione esterna, ansia da prestazione, evitamento dei compiti difficili. Il bambino non impara a valutarsi da sé, ma solo a piacere all’adulto.
Come correggere: sostituire la lode vuota con feedback descrittivo (racconta ciò che ha fatto), collegarlo a impegno/processo, ancorarlo a un dato osservabile. In questo modo il bambino sviluppa autovalutazione e senso di competenza reale.
Esempi:
• “Hai insistito anche quando la zip si è bloccata: persistenza.”
• “Hai asciugato l’acqua senza che te lo chiedessi: cura dell’ambiente.”
• “Ti sei accorto che mancava la tovaglietta e l’hai cercata: attenzione.”
Formula 3D (Descrivi–Denomina–Direziona): descrivi l’azione, denomina la qualità emersa, indica il passo successivo.
Esempio 3D: “Hai infilato la testa e poi le maniche da solo (sequenza). La prossima volta provi anche a tirare l’ultimo pezzo della zip.”
Cornice Montessori: il riconoscimento deve essere ancorato al gesto osservabile e sostenere volontà e autocorrezione, non il bisogno di piacere.

L’ambiente è adulto‑centrico (oggetti in alto, strumenti non a misura) e compaiono frustrazione o rinuncia.

La fretta cronica spezza la concentrazione e aumenta i conflitti.

Il ruolo dell’ambiente: il vero maestro

Ordine, bellezza, proporzione: Per Montessori l’estetica educa: ordine e bellezza “chiamano all’azione”. Un ambiente sobrio e curato invita il bambino a prendersi cura, senza prediche. L’ambiente rende superflua molta parte delle correzioni verbali.

Meno è meglio: rotazione settimanale; lascia fuori solo ciò che è funzionale all’età/interesse.

Accessibilità: tutto a misura di mano e occhio (ganci, sgabello, brocche leggere).

Strumenti veri (sicuri): piccole pinze, spolverino, spazzola, mini-secchio.

Casa per ogni cosa: sagome/contorni o foto sullo scaffale → il bambino sa dove riportare.

Come si parla all’autonomia (linguaggio adulto)

Parole che costruiscono volontà: Il linguaggio adulto incide su motivazione e autocontrollo. In Montessori si preferisce una parola poca, chiara, concreta, che accompagni l’azione senza sostituirla.

Anticipazione breve: “Ora ti mostro lentamente; poi toccherà a te.”

Sequenza: “Prima la testa, poi una manica, poi l’altra.”

Domande riflettive: “Posso aiutarti? Cosa vuoi riprovare?”

Confini corti e gentili: “Le scarpe restano qui. Se vuoi, ti aspetto mentre provi.”

Riconoscimento dell’impegno: “Hai ricominciato tre volte finché ci sei riuscito.”

Metodo in azione: il “controllo dell’errore”

Dall’etero-correzione all’auto-correzione: Nei materiali Montessori l’errore “salta all’occhio” senza che l’adulto lo segnali (cilindri che sporgono, incastri che non chiudono). Questo si chiama controllo dell’errore: una proprietà dell’ambiente/materiale che restituisce feedback intrinseco all’azione, permettendo al bambino di vedere dove non torna, capire cosa manca e rimediare in autonomia. In pratica: l’errore è dell’azione, non della persona. Effetti attesi: più concentrazione, perseveranza, autostima tranquilla e minore dipendenza dal giudizio adulto.

Perché è cruciale per gli adulti — Evita il cortocircuito “se sbaglia, ho sbagliato io”. Quando l’adulto interpreta l’errore del bambino come fallimento personale (del genitore o dell’educatrice), scattano tre reazioni tipiche: 1) sostituzione (faccio io), 2) iper‑correzione (spiego, correggo, giudico), 3) pressione (fretta, aspettative). Risultato: si rompe il ciclo di auto‑apprendimento, cresce l’ansia, cala l’iniziativa.

Come rimanere nel metodo (linee chiare)

Separare i piani: Io preparo condizioni e limiti, tu fai esperienza.

Nominare l’errore senza colpa (linguaggio descrittivo): “La zip si è fermata qui; ripartiamo dall’inizio del cursore.”

Praticare l’AME: attendo → segnalo → parola breve → tocco puntuale → dimostrazione lenta.

Trasformare l’errore in compito di rimedio: panno, specchio, checklist, cestino “ritenta”. Il rimedio lo esegue il bambino.

Riformulare il pensiero adulto: da “non sono capace a insegnargli” a “sto preparando meglio ambiente e sequenza”.

Rituale anti‑cortocircuito per l’adulto (STOP–RESPIRO–NOMINA–RIFORMULA)
STOP (mi fermo 2″) → RESPIRO (allungo l’espirazione) → NOMINA (a me: “è il suo compito, non il mio valore”) → RIFORMULA (uso una frase guida breve).

Esempio concreto
Maglia al contrario: descrivo (“la cucitura è fuori”), indico lo specchio, chiedo “da dove vuoi ripartire?”, attendo. Se serve, mostro solo il primo gesto per srotolarla; poi mi ritiro. Niente battute svalutanti, niente “te l’avevo detto”.

Come portarlo nelle routine di casa

Rendi visibile la discrepanza: contrasto visivo (bordo del vassoio, righe guida), specchio a misura, checklist illustrata, segni di inizio/fine sul gancio della zip.

Metti a portata gli strumenti di rimedio: panno, spazzolina, cestino “ritenta”, tappetino per sedersi, secchiello per briciole.

Ordina i passaggi: pochi step numerati a vista (1–2–3), sempre nello stesso ordine; criterio di riuscita chiaro (“la tovaglietta resta dentro il bordo”, “zip fino al segno”).

Postura dell’adulto (AME – Aiuto Minimo Efficace)
Attendo 5–10″, segnalo con il dito, offro una parola breve, eventualmente un tocco puntuale; non anticipo la soluzione.
Domande guida: “Cosa non ti torna?” “Con cosa vuoi rimediare?” “Qual è il prossimo passo?”
Linguaggio descrittivo: “La maglia è rimasta girata sulle spalle; guarda allo specchio.”

Quando intervenire davvero
Solo per sicurezza, blocco emotivo prolungato o frustrazione crescente nonostante gli strumenti: semplifico il compito, ripresento il gesto lentamente, rimando la parte difficile.

Mini‑checklist per il genitore
[ ] L’errore è visibile senza parole.
[ ] C’è uno strumento di rimedio a portata.
[ ] I passaggi sono pochi e in ordine.
[ ] Ho pronto cosa dire in 7 parole o meno.

Specchio basso per vestirsi → il bambino vede se la maglia è rovescia.

Panno sempre disponibile → l’acqua caduta diventa occasioni di cura, non colpa.

Checklist visiva → autoverifica dei passaggi prima di chiedere aiuto.

Allenamento di 7 giorni – “Aiutami… a fare da me”

Micro-percorso intenzionale: Sette giorni per mettere a terra i principi: una routine, un ambiente, un passo alla volta. 10–15 minuti al giorno sono sufficienti per innescare nuove abitudini.

Giorno 1 – Scegli una sola routine-ponte
Vestirsi oppure tavola oppure uscita. Prepara l’ambiente e togli il superfluo.

Giorno 2 – Presentazione lenta (una volta sola)
Mostra ogni gesto con calma, in silenzio o con parole minime. Poi invita a provare.

Giorno 3 – Spazio all’errore
Niente correzioni sul risultato: nota un passaggio riuscito e verbalizzalo.

Giorno 4 – Controllo dell’errore
Inserisci strumenti di autocorrezione (specchio, panno, checklist). Non sostituirti.

Giorno 5 – Riduci a 2 scelte
Diminuisci attrito decisionale: osserva se cresce l’iniziativa.

Giorno 6 – Responsabilità reale
Affida un pezzetto stabile della routine (“oggi apparecchi due posti”).

Giorno 7 – Revisione insieme
“Cosa ti è piaciuto? Cosa vuoi fare da solo la prossima settimana?” Decidete un micro-passo in più.

Checklist pratica (salvala sul frigo)

Dall’intenzione alla coerenza quotidiana: La coerenza dell’adulto è il “clima” che rende l’autonomia stabile. Questa lista ti aiuta a restare sul metodo.

Quando l’autonomia “stressa”: segnali da ascoltare

Ricalibrare senza rinunciare: Se compaiono pianto costante, evitamento, oppositività fissa, probabilmente la richiesta è troppo alta o l’ambiente non aiuta. La risposta montessoriana non è “mollare”, ma ridurre la complessità e ripresentare.

Semplifica la sequenza (taglia in 2–3 passi).

Ripresenta lentamente, partendo dal punto di blocco.

Allunga i tempi (parti 10’ prima).

Controlla l’ambiente (accessibilità reale? strumento troppo pesante?).

Riconosci l’emozione: “È difficile, ti capisco. Proviamo un pezzo alla volta.”

Osservazione: il quaderno dell’adulto (scrivi quello che vedi, non quello che pensi di vedere!!!)

Il Metodo = osservazione sistematica: Per Montessori l’osservazione è passiva, paziente e umile.

Passiva non vuol dire assente: l’adulto si trattiene dall’intervenire per non interrompere concentrazione e iniziativa.

Paziente vuol dire rispettare i tempi reali dell’azione, senza fretta né sollecitazioni.

Umile vuol dire sospendere giudizi e aspettative, guardare i fatti e lasciarsi sorprendere.

Scopo: conoscere il bambino per preparare meglio l’ambiente, riconoscere i periodi sensitivi e dosare l’Aiuto Minimo Efficace (AME).

Come si osserva concretamente

Postura discreta, a lato; mani ferme; pochi sguardi, nessun commento.

Quaderno alla mano: descrivo gesti, tempi, interessi; non interpreto.

Intervengo solo per sicurezza o blocco prolungato; altrimenti aspetto.

Cosa guardare

Dove si dirige spontaneamente? Per quanto resta concentrato?

Qual è la sequenza che segue e dove si blocca?

Che segnali di stanchezza o frustrazione compaiono?

Che controlli dell’errore usa da solo?

Errori da evitare

Etichettare ("è pigro/impaziente").

Correggere mentre osservo.

Riempire di domande o di lode generica.

Bastano 3 righe al giorno:

Cosa ha scelto da solo?

Dove si è bloccato?

Quale aiuto minimo ha funzionato?

In una settimana avrai informazioni utili a regolare ambiente e richieste.

Mini-FAQ (secondo Montessori)

Sciogliamo i dubbi ricorrenti:

“Se non insisto, non impara.”
In realtà impara meglio se il compito è proporzionato e l’errore gestibile. Insisti sulla preparazione, non sulla pressione.

“Si arrabbia quando non riesce.”
La frustrazione è naturale: serve un grado di sfida giusto e strumenti di autocorrezione. Nominare l’emozione aiuta la regolazione.

“Ci mettiamo il doppio del tempo.”
All’inizio sì. Poi il bambino guadagna velocità e fiducia. La fretta cronica costa cara cara sul lungo periodo.

Una super domanda per il genitore

In quale momento oggi posso fare un passo indietro (senza sparire) per lasciare a mio/a figlio/a un passo avanti reale?

Autonomia significa fidarsi del processo, non lasciare il bambino da solo. È educazione alla vita: ordine fuori, calma dentro, azione possibile.
Felici s’impara così: un gesto concreto al giorno, preparato con amore, osservato con pazienza, celebrato con verità.

Sempre immensamente grata,
Santina Bossini – family coach Montessori & life coach umanista
Allenatrice di felicità – DDF ��

29/05/2025

Artigiani di felicità

La fatica dietro la felicità

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La fatica dietro la felicità

(ovvero: Felici si diventa, a piccoli passi e a muscoli caldi)

La felicità non è sempre rosa confetto.
Anzi, il più delle volte ha i colori sbiaditi del mattino presto, quelli che non fanno scena nelle stories, ma che raccontano il vero.

Spesso ci chiediamo: "Ma perché faccio così tanta fatica a essere felice?"
Come se la felicità dovesse pioverci addosso, come una benedizione casuale.
Ma la verità è che la felicità, quella vera, non è una benedizione.
È un’abilità.
È un allenamento.
E sì, richiede energia, presenza, disponibilità.

Felici s’impara, e si suda.

Il metodo che porto avanti – Felici s’Impara – nasce proprio da qui.
Dalla consapevolezza che la felicità è come un muscolo:
se non lo alleni, si atrofizza. Se lo alleni, ti cambia la postura della vita.

E non è solo una metafora. Martedì scorso, durante una serata indimenticabile con Elena Cherubini, abbiamo vissuto sulla pelle (letteralmente) quanto il corpo porti memoria.
Il corpo non mente: racconta la tua storia anche quando la mente vorrebbe rimuoverla.
Ed è proprio lì, nel corpo che si apre, che si allunga, che si radica, che la felicità prende una forma nuova: una postura che guarda in avanti, e che finalmente si sostiene da sola.

Non è la fatica a fare la felicità. È la scelta.

Nel mio lavoro, lo ripeto spesso: "Sei tu che scegli da che parte stare."
Ogni giorno, in ogni gesto, in ogni pensiero.
Scelgo se alimentare il mio malumore o allenare la mia gratitudine.
Scelgo se arrendermi ai vecchi schemi o attivare nuove possibilità.
Non è una questione di sacrificio, ma di consapevolezza.
La disciplina – diceva Maria Montessori – non si impone, si conquista.
Ed è proprio questa conquista gentile che rende stabile la nostra direzione.

Disciplina è amore che si struttura.

La disciplina non è fatica sterile.
È amore per sé che prende forma, con costanza.
È ciò che mi permette di tornare, ogni giorno, a ciò che conta.
Non servono punizioni o premi.
Davvero, non servono.
Perché premi e punizioni, anche quelli nascosti nelle frasi che ci diciamo (“Se riesco a fare tutto, allora valgo qualcosa”), alimentano un giudizio costante su di sé, inesorabile, in ginocchio davanti all’idea di dover sempre meritare qualcosa.

La disciplina, quella che serve alla felicità, non nasce dal bisogno di essere approvati, ma dal desiderio profondo di scegliere ciò che ci fa bene, ogni volta che possiamo.
È una forma di libertà, non di costrizione.
È l’arte di educare sé stessi con la stessa cura con cui si accompagnerebbe un bambino a crescere: con fermezza, sì, ma senza mai mettere in discussione il suo valore.

Quando smettiamo di premiarci solo “se siamo stati brave”,
e iniziamo a volerci bene “mentre lo siamo” e anche “quando non lo siamo”,
allora la disciplina diventa un atto d’amore.
Una fedeltà a se stessi che resiste anche quando tutto il resto vacilla.

Osservazione. Fiducia. Ambiente.

Tre parole che nella pedagogia Montessori sono rivoluzionarie,
e che nella mia esperienza diventano pilastri anche per la nostra felicità da adulti:

Osservazione: imparare a guardarsi dentro con sincerità. Non per giudicare, ma per comprendere. Osservare le emozioni, i pensieri, le reazioni. Osservarsi come si osserverebbe un bambino che si sta scoprendo.

Fiducia: avere fede nella possibilità di cambiare. Anche quando ci si è delusi mille volte. Anche quando l’autosabotaggio sembra avere la voce più forte.
Perché sì: siamo noi i primi a metterci i bastoni tra le ruote. Ma siamo anche gli unici a poterli togliere.

Ambiente: non solo quello esterno. Ma l’ambiente interno.
Come mi parlo? Come mi sostengo? Che parole uso con me stessa?
Se lo senti lo sai, canta Jovanotti. E io lo sento, ogni volta che aiuto qualcuno a creare dentro di sé uno spazio di pace. Perché se l’ambiente interiore è accogliente, anche la vita fuori cambia sapore.

Una domanda per te

Quando ti senti stanca e pensi che non ne valga la pena…
domandati: "Che tipo di fatica sto facendo? Quella che mi svuota o quella che mi costruisce?"

Allenarsi alla felicità è come correre sotto la pioggia:
all’inizio ti bagni e basta, ma poi impari a ballarci dentro.
Scopri che dietro la fatica, c’è energia. Dietro il dubbio, c’è un sì che ti aspetta.
E dietro ogni passo, c’è una nuova possibilità.

Con stima e gratitudine

Santina - La tua allenatrice di Felicità. 

 

 

24/04/2025

Le domande degli occhi

Ascoltare oltre le parole, rispondere ai bisogni con empatia

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Ascoltare oltre le parole, rispondere ai bisogni con empatia

Certe domande non si fanno con la bocca.
Arrivano prima.
Le vedi negli occhi di un bambino che abbassa lo sguardo mentre lo richiami.
Nel broncio ostinato di un ragazzo che si chiude nella sua stanza e non vuole parlare.
Nel capriccio apparentemente senza senso, o nella rabbia che esplode troppo in fretta.

Sono le domande degli occhi. Quelle che non si dicono, ma si mostrano.

“Mi vedi?”
“Mi senti davvero?”
“Riesci a capire cosa sto cercando di dirti, anche se non trovo le parole giuste?”

Ecco dove comincia l’accoglienza empatica. Non nel risolvere il comportamento. Non nel trovare subito la soluzione. Ma nel fermarsi a vedere davvero l’altro.
E questo vale per i bambini, per i ragazzi… e per noi adulti. Perché anche noi, tante volte, abbiamo chiesto aiuto senza riuscire a dirlo.

Non è un capriccio, è una domanda di connessione

Molto spesso, nella fatica quotidiana di essere genitori o educatori, rischiamo di fermarci al comportamento che vediamo in superficie.
Un urlo, una porta sbattuta, un pianto inconsolabile, un silenzio ostinato. E il nostro primo istinto è correggere, contenere, spiegare, sistemare.

Ma il comportamento è solo la punta dell’iceberg.
Sotto, c’è un bisogno non riconosciuto, non ascoltato, non accolto.

Dietro la rabbia, può esserci il bisogno di essere ascoltati, di essere considerati.
Dietro la chiusura, il bisogno di sicurezza o di protezione.
Dietro il pianto, il bisogno di conforto, di vicinanza, di amore.

Come dice la Comunicazione Non Violenta di Marshall Rosenberg, ogni azione umana è un tentativo di soddisfare un bisogno. Quando impariamo a guardare oltre l’apparenza del comportamento, possiamo finalmente smettere di chiederci “Come faccio a farlo smettere?” e iniziare a chiederci:
“Di cosa ha bisogno in questo momento?”

Il potere di avere le parole giuste: il vocabolario dei sentimenti e dei bisogni

La Comunicazione Non Violenta ci invita a sviluppare una competenza spesso trascurata: dare nome alle emozioni e ai bisogni, allenarci a riconoscerli, a esprimerli, a stare accanto anche quando sono scomodi.

Quante volte diciamo ai bambini:

“Calmati!” (senza dire “Capisco che sei arrabbiato”)

“Non c’è motivo di piangere” (senza dire “Vedo che sei molto triste, cosa ti fa stare così?”)

Ma se non aiutiamo i bambini e i ragazzi a nominare quello che provano, resteranno prigionieri di reazioni che nemmeno loro capiscono.
Dotarsi di un vocabolario condiviso di sentimenti e bisogni diventa allora uno strumento educativo potente, che favorisce la consapevolezza e la fiducia.

Per esempio, invece di fermarci a dire:

“Sei sempre nervoso!”
potremmo imparare a dire:

“Sei frustrato perché forse avevi bisogno di essere ascoltato?”

O ancora, invece di:

“Non fare così, non serve arrabbiarsi!”
possiamo provare:

“Vedo che sei arrabbiato, forse perché avevi bisogno di rispetto e chiarezza?”

Ogni volta che aiutiamo un bambino (o un ragazzo, o un adulto) a riconoscere e a dare nome a quello che prova, stiamo facendo un atto di educazione alla libertà interiore. Stiamo costruendo le basi di una comunicazione più vera, più rispettosa, più umana.

Osservare, non giudicare: lo sguardo Montessori nella CNV

Maria Montessori ci ricorda che l’osservazione è il primo gesto d’amore educativo.
Non l’osservazione per controllare o per correggere, ma quella che nasce dalla curiosità, dall’interesse sincero per l’altro.
Uno sguardo che si allena a vedere senza etichettare, ad accogliere senza giudicare.

Questa stessa attitudine è il cuore della Comunicazione Non Violenta.
Essere presenti, ascoltare senza fretta, senza bisogno di “aggiustare” subito le cose. Stare con l’altro, anche nel disagio, nella fatica, nella rabbia, senza scappare.

Perché quando un bambino dice: “Non ti voglio più bene!”, spesso sta solo chiedendo:
“Mi vuoi bene lo stesso, anche adesso che sono arrabbiato?”

E rispondere a questa domanda non è questione di tecnica, ma di allenamento del cuore.

Per allenare questa competenza… comincia da te

Non possiamo aiutare i nostri figli a dare nome ai loro bisogni, se per primi non impariamo a riconoscere i nostri.
Allenarsi a sentire e a dire:

“Mi sento stanco, perché ho bisogno di riposo.”

“Mi sento frustrata, perché ho bisogno di collaborazione.”

“Mi sento felice, perché il mio bisogno di connessione è stato nutrito.”

È il primo passo per essere autentici, per educare alla libertà di esprimere ciò che si prova.
E ogni volta che lo facciamo, apriamo uno spazio sicuro dove le domande degli occhi possano finalmente trovare una risposta che cura.

Con gratitudine

Santina

la tua allenatrice di felicità

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01/11/2025

Spezzare il Circolo Vizioso: come uscire dall’autosabotaggio e tornare a scegliere se stessi

01/11/2025

Spezzare il Circolo Vizioso: come uscire dall’autosabotaggio e tornare a scegliere se stessi

Spezzare il Circolo Vizioso: come uscire dall’autosabotaggio e tornare a scegliere se stessi

Quante volte ci è capitato di desiderare un cambiamento e poi, appena si è presentata l’occasione, tirare il freno a mano?
Ci raccontiamo che non è il momento giusto, che dobbiamo ancora capire, che forse non siamo abbastanza preparati.
E intanto la vita resta in attesa, sospesa tra il desiderio di andare avanti e la paura di farlo davvero.

Questo movimento è sottilissimo ma potente.
È l’autosabotaggio: quel meccanismo invisibile che ci tiene fermi, anche quando la mente dice “vai”.
Nasce dalla paura, ma si traveste da prudenza, da razionalità, da buon senso.
Ci illude di proteggerci, mentre in realtà ci allontana da ciò che siamo.

Quando la paura guida, la vita si restringe

La paura del cambiamento è naturale.
Ogni trasformazione ci mette davanti all’ignoto, e l’ignoto fa tremare.
Ma la paura, se non ascoltata, diventa un ostacolo silenzioso.
Ci fa rimanere dove soffriamo, pur di non affrontare la fatica di crescere.

Il punto è che crescere significa anche perdere pezzi di ciò che eravamo.
Significa dire addio a vecchie abitudini, a ruoli che non ci rappresentano più, a modi di pensare che ci hanno accompagnato per anni.
E questo, sì, fa male.
Ma è un dolore che libera, non che imprigiona.
Perché la felicità non arriva quando smettiamo di avere paura, ma quando smettiamo di lasciarci comandare da essa.

L’autosabotaggio ha sempre un intento positivo — e un messaggio spirituale

Nel coaching umanistico impariamo che ogni comportamento, anche quello che ci danneggia, nasce da un intento buono: proteggerci.
Ma nel coaching spirituale andiamo ancora più in profondità: riconosciamo che ogni paura è un portale, un’occasione per tornare a noi.
Finché restiamo sulla soglia, raccontandoci “la storia dell’orso” — quella che inizia sempre con “non posso”, “non è il momento”, “non sono pronta” — restiamo nel racconto, non nella verità.

La verità arriva quando smettiamo di scappare e entriamo nella paura.
La osserviamo, la attraversiamo, le permettiamo di parlarci.
Solo così la paura smette di essere un nemico e diventa una maestra: ci mostra dove c’è vita che vuole espandersi, dove c’è un desiderio che chiede spazio.
E in quel momento, smettiamo di sabotarci e iniziamo a fidarci.

Allenarsi alla fiducia: il DDF e la prova dei fatti

Il cambiamento non è un colpo di fortuna, è un allenamento quotidiano.
Nel mio metodo Felici s’Impara parlo spesso di DDF — Darsi Da Fare.
Non in modo cieco o compulsivo, ma come scelta consapevole di stare nel processo.
Perché la felicità, come ogni competenza, si allena facendo.

C’è una riprova semplice, scientifica e universale: qualsiasi cosa, se vuoi imparare a farla bene, la devi fare e rifare.
Guidare, sciare, scrivere, amare, pensare. Tutto.
La padronanza nasce dal movimento ripetuto, non dal pensiero perfetto.
E quando ripeti, osservi, correggi e riprovi, impari non solo a “fare”, ma ad autogovernarti: a essere tu la guida del processo, non la vittima delle circostanze.

L’azione concreta è il vero antidoto all’autosabotaggio.
Perché quando agiamo, il corpo impara prima della mente.
È così che si costruisce la fiducia: un piccolo passo alla volta, finché la paura smette di essere un muro e diventa una soglia.

La felicità si allena, non si attende

Non arriverà mai il momento perfetto.
Arriverà il momento in cui deciderai che va bene così: con le tue paure, le tue incertezze, i tuoi limiti.
E da lì inizierai a muoverti.
Non per cambiare tutto, ma per vivere meglio dentro ciò che sei.

L’autosabotaggio si dissolve quando scegliamo di darsi da fare, anche imperfettamente.
Quando l’amore per la vita diventa più forte della paura di perderla.
Quando iniziamo a ricordarci che la felicità non è un punto di arrivo, ma un modo di camminare.

E se vuoi un campanello d’allarme per capire quando ti stai fermando, ascolta queste parole:

“Sono fatta così.”

Ogni volta che le pronunci, fermati e chiediti — così come?
Scrivilo. Nero su bianco.
Perché verba volant, scripta manent (le parole volano, gli scritti rimangono).
Scrivendo, ti accorgerai che “così come” non è una condanna, ma un punto di partenza.
Puoi imparare, puoi cambiare, puoi crescere.
Felici s’impara, sempre. Strada facendo.

�� Allenamento per te – esercizio di consapevolezza

Prenditi dieci minuti e scrivi, senza filtri:

Una situazione in cui ti dici spesso “sono fatta così”.

Cosa temi davvero che possa accadere se cambi.

Un piccolo gesto concreto (anche minimo) che puoi fare oggi per darti da fare in quella direzione.

Non serve la perfezione. Serve iniziare.
Ricorda: la felicità è un muscolo, non un colpo di fortuna.

�� Felici s’impara, strada facendo.
Io sono Santina Bossini, life coach umanista, family coach Montessori e allenatrice di felicità.
Accompagno persone, donne e famiglie a ritrovare equilibrio, fiducia e libertà interiore attraverso il mio metodo Felici s’Impara, che integra il coaching umanistico, il pensiero Montessori e la spiritualità concreta del fare.

 

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20/08/2025

Bellezza naturale? Con 27 filtri e zero libertà. Dai, diciamocelo.

20/08/2025

Bellezza naturale? Con 27 filtri e zero libertà. Dai, diciamocelo.

Bellezza naturale? Con 27 filtri e zero libertà. Dai, diciamocelo.

Da quando ho iniziato a collaborare con le colleghe Elisa ed Elena nel progetto Glowup.ClubRosa, il mio sguardo sulla bellezza e sul potere femminile sta cambiando profondamente. Sta diventando uno sguardo più curioso, appassionato, attento. Un ambito che prima sentivo lontano ora mi parla, mi coinvolge e mi richiama a nuove responsabilità: quelle di accogliere le donne non solo nelle loro fragilità, ma anche nei loro desideri di bellezza, di cura, di luce. Per questo sto dedicando studio, ascolto e ricerca, affinché ciò che offriamo con il nostro lavoro sia davvero una risposta viva e concreta alle esigenze che emergono dai loro racconti. Perché la bellezza, se vista con occhi nuovi, può essere un ponte verso l'autenticità, la consapevolezza e il potere personale.

Quando parliamo di bellezza femminile, parliamo di qualcosa che tocca corde profonde: il sentirsi bene con se stesse, il piacersi, l'essere autentiche senza paura del giudizio. Ma quante volte, dietro alla parola bellezza, troviamo invece giudizi, pressioni e contraddizioni?

"Sentirsi belle" è spesso visto come un segno di vanità superficiale, qualcosa che le donne devono giustificare, come se il desiderio di star bene nel proprio corpo fosse una colpa. Dall'altro lato, la società ci impone modelli di bellezza "naturale" che in realtà naturale non è per niente: nella nostra epoca dominata dai social, dai filtri fotografici e dai ritocchi digitali, l'idea di una bellezza spontanea è diventata spesso solo un'illusione costruita con cura. Questa apparente naturalezza, infatti, richiede grandi sforzi dietro le quinte e una rigida autodisciplina, creando così aspettative irrealistiche e pressioni costanti. Così, molte donne restano intrappolate tra ciò che vogliono essere realmente e un ideale virtuale irraggiungibile, vivendo con senso di inadeguatezza e frustrazione."

Ma che succederebbe se scegliessimo un'altra strada, quella del cambiamento autentico e libero, basato sui nostri punti di forza? che non emergono automaticamente, ma richiedono un vero e proprio allenamento per essere ricordati, riconosciuti e scoperti, dato che siamo culturalmente abituate a concentrarci solo su ciò che non va, sugli aspetti negativi e sui difetti percepiti. Se ci pensi fin da bambine, ci viene insegnato a passare sempre e solo da una porta: quella dei voti, delle valutazioni, del "quanto vali" misurato con un numero. Tutto il resto – la creatività, la gentilezza, la perseveranza, l'empatia – resta spesso invisibile, come se non avesse valore. Così impariamo a identificarci solo con i nostri limiti, dimenticando i nostri talenti. Imparare a vedere e valorizzare ciò che funziona in noi diventa allora una pratica rivoluzionaria e quotidiana, capace di restituirci autostima, fiducia e un reale senso di benessere. È una vera e propria rivoluzione del tuo pensiero.

La risposta può arrivare dal Metodo Montessori per adulti, come ci insegna il progetto MOMA (Montessori Method for Orienting and Motivating Adults). Ma non solo: un altro pilastro fondamentale di questo percorso trasformativo è il coaching umanistico. Che come il metodo Montessori ha la sua visione centrata sulla persona e sul potenziale umano, anche il coaching umanistico cambia radicalmente lo sguardo, aiutandoci a vedere ciò che spesso non vediamo più: la nostra forza, il nostro valore, il nostro desiderio autentico di fiorire. È un approccio che non punta a "riparare" ma a far emergere, a riconoscere quello che già c'è, a riportare alla nostra consapevolezza quello che crediamo di non avere nemmeno.

Insieme, il Metodo Montessori per adulti e il coaching umanistico formano due colonne portanti: una struttura solida su cui puoi davvero costruire il castello di te stessa, fatto di autenticità, libertà e bellezza consapevole.

Ecco come puoi iniziare oggi stesso:

La Mente Assorbente: Risvegliati alla Tua Unicità
La mente assorbente ci invita a esplorare attivamente il mondo con tutti i sensi, scoprendo ciò che davvero risuona con noi. Non limitarti ad assorbire passivamente standard imposti, ma ascolta ciò che il tuo corpo e la tua mente ti dicono. Ricorda: essere diverse non significa essere sbagliate. La bellezza autentica parte proprio da qui: dalla scoperta di ciò che ti fa sentire bene profondamente, e non solo in superficie.

Ambiente Preparato: Il "Noi" come Potere
Un ambiente preparato per adulti, come il nostro "Spazio del Noi", ti permette di aprirti e raccontarti senza giudizio. È un luogo dove puoi sentirti vista e ascoltata davvero. Quando ci sentiamo accolte e comprese, ritroviamo equilibrio e fiducia, ingredienti fondamentali per un cambiamento concreto e duraturo.

Ma non esiste ambiente esterno che possa sostenerci davvero se prima non impariamo a coltivare l'ambiente interno: quello spazio interiore fatto di pensieri, emozioni, memoria e desideri. Il nostro mondo esterno è spesso uno specchio di ciò che ci portiamo dentro. Per questo è importante prendersene cura, allenandosi ogni giorno a portare ordine, presenza, gentilezza e verità nei nostri pensieri. Un ambiente interno armonioso rende possibile anche la fioritura delle relazioni e del cambiamento.

Indipendenza e Autonomia: Allenati al Tuo Potere Personale

Il Metodo Montessori insegna che l'indipendenza è libertà di scelta. E mi piace ricordare sempre che libertà non è fare quello che voglio, ma volere quello che faccio. È una disciplina dell’anima, conquistata giorno dopo giorno, e mai imposta dall’esterno. Nasce dalla nostra autenticità più profonda.

Imparare a scegliere per te stessa significa smettere di vivere per piacere agli altri, o per conformarti a modelli imposti. Significa allenarti a riconoscere ciò che ti muove davvero, ciò che ti accende, ciò che ti fa bene. Ogni scelta che rispetta la tua verità interiore ti avvicina al tuo potere personale e a un benessere che ha radici vere.

Ma questa libertà non è scontata. Richiede esercizio, domande, presenza. Certo, dobbiamo anche vivere, lavorare, pagare le bollette… ma proprio per questo è fondamentale chiederci spesso: "A quale scopo faccio questo? Perché dico quello? Cosa mi guida quando penso così?". È questo il cuore dell’autonomia: scegliere ogni giorno da che parte stare, anche quando il mondo va in un’altra direzione.

E questo cuore batte davvero solo quando ciò che facciamo ha senso e piacere per noi. Quando c'è corrispondenza tra ciò che sentiamo e ciò che viviamo. Il piacere – quello profondo, pieno, vitale – è il segnale che stiamo andando verso la nostra verità. Coltivarlo non è un capriccio: è un atto politico e spirituale insieme. È scegliere di fiorire.

Osservazione: Trasforma la Tua Storia in Forza
Osservarti senza giudizio significa accogliere tutto ciò che ti abita, anche le parti dolorose della tua storia. Non per trasformarlo in qualcos’altro, ma per riconoscerlo, vederlo, farci pace. Non è una trasformazione, è una comprensione. È riconoscere quello che hai e chi sei attraverso quello che senti.

Da questa consapevolezza nasce un’educazione emotiva profonda: imparare a conoscere le emozioni ci permette di coltivare i sentimenti, di dare significato a ciò che viviamo, di arricchire la nostra coscienza. Tutto parte dall’osservazione: solo se impariamo ad osservarci possiamo accorgerci di ciò che ci abita davvero. E allora riconoscere, senza giudicare, diventa il primo passo per ritrovare il centro.

Ed è proprio qui che si inserisce anche il potere delle parole: le parole che conosciamo, che usiamo, che scegliamo. Perché saper nominare qualcosa cambia il modo in cui la viviamo. Lo dico sempre: quando lo sai, lo sai. E non puoi più fare finta di niente. La lettura, lo studio, la riflessione diventano allora strumenti potenti per imparare ad abitare davvero la nostra vita interiore, con chiarezza, profondità e presenza.

Sperimentazione: Agisci e Cambia Davvero
Non limitarti alla teoria: agisci concretamente. Metti in pratica nuove esperienze, prova cose che non hai mai fatto. Questo approccio esperienziale rende il cambiamento tangibile, visibile, motivante, perché vissuto nel corpo, nei gesti, nella quotidianità.

Pensa ai bambini: quando imparano qualcosa di nuovo non lo fanno per raggiungere un risultato, ma per il puro piacere del fare. Si immergono totalmente nell’esperienza, vivono il flow, quello stato di presenza piena in cui tutto scorre e la mente tace e apprende insieme al corpo. È in quello spazio che nasce il cambiamento vero: non dalla performance, ma dalla presenza.

E poi c'è il Signor Errore – come lo chiamava Maria Montessori. Non un nemico da evitare, ma un alleato da osservare. Ancora l'osservazione. L’errore, quando riusciamo ad accoglierlo, diventa maestro e non giudice. In questo modo, anche ciò che sembra “sbagliato” diventa parte del nostro processo, e ci insegna qualcosa di nuovo su di noi. Un vero cambio di paradigma: smettere di correggere per iniziare a comprendere.

La bellezza autentica non è uno stato statico da raggiungere, ma un allenamento quotidiano, un modo attivo e consapevole di abitare la tua vita. È un viaggio interiore che assomiglia al lavoro dello scultore: ogni gesto, ogni scelta, ogni parola scolpisce la materia grezza dell’esistenza, portando alla luce la forma che da sempre esisteva sotto la superficie.

Ricorda che la felicità e la bellezza, sì, s’imparano giorno dopo giorno. E proprio questo costante allenamento diventa la chiave di accesso al tuo empowerment: un percorso che ti restituisce potere, che ti insegna a scegliere, a esprimerti, a occupare con coraggio e presenza il tuo posto nel mondo.

Il potere femminile nasce anche da qui: dal riconoscere che ogni giorno puoi decidere di essere la protagonista della tua storia, non per apparire, ma per incarnare. Non per aderire a un ideale esterno, ma per manifestare la tua bellezza profonda, viva, imperfetta e meravigliosamente vera.

Io sono qui per accompagnarti passo passo in questo viaggio meraviglioso verso una vita autentica e pienamente vissuta.

Sempre immensamente grata, la Santy
 

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09/07/2025

 La nuova te non è lontana. È sepolta viva.

09/07/2025

 La nuova te non è lontana. È sepolta viva.

La nuova te non è lontana. È sepolta viva.

(Non devi inventarti. Devi solo ricordarti chi sei.)

Succede piano.
Non è un uragano, ma piuttosto una nebbia silenziosa.
Ti alzi ogni giorno, fai quello che “devi”, incastri gli impegni, porti avanti tutto con cura e senso del dovere. E così, senza accorgertene, attivi il pilota automatico.

Quel meccanismo invisibile che ti fa andare avanti per inerzia: rispondi alle esigenze degli altri, spunti le cose da fare, ti adatti a ogni imprevisto, ma non ti chiedi più se ciò che stai vivendo ti corrisponde davvero.

Il pilota automatico ti fa sopravvivere, ma non ti fa scegliere. Ti protegge dalla fatica della consapevolezza, ma ti allontana ogni giorno un po’ di più da te stessa. Ti fa sembrare "organizzata", ma in realtà sei solo in apnea.

E intanto, un po’ alla volta, perdi il contatto con ciò che ti fa bene davvero. Con ciò che ti accende. Con chi sei tu, oltre i ruoli.

All’inizio non te ne accorgi.
Poi cominci a sentire qualcosa che stride. Una stanchezza che non passa. Una voce interiore che ti sussurra:

“Così non può andare avanti”.
Ma non sai da dove partire. E allora continui. Tieni botta. Ti dici che forse passerà. Che magari in vacanza. Magari con più tempo. Magari il mese prossimo.

Intanto, però, non sei felice.
E nemmeno infelice.
Sei sospesa. In bilico tra ciò che senti e ciò che fai. Ti muovi, ma senza una vera direzione. Funzioni, ma non vivi davvero. Non c’è un dolore preciso, ma una assenza di gioia, come se qualcosa dentro fosse rimasto indietro. Una parte di te osserva tutto da lontano, aspettando un segnale, un appiglio, un motivo vero per ricominciare. È come abitare una vita che conosci, ma che non ti appartiene più davvero. Eppure continui. Per abitudine, per responsabilità, per affetto. Ma nel profondo, una voce resta lì, in attesa. E tu con lei.

Questo articolo è per te, che ti sei dimenticata — o ti hanno fatto dimenticare — cosa ti rende davvero felice.
È per te che sogni una nuova versione di te stessa, ma temi che sia tardi, o troppo difficile.
È per te che senti l’urgenza del cambiamento, ma non hai una direzione chiara.
È per te che stai resistendo, ma vorresti finalmente scegliere.
E magari, per la prima volta, scegliere te stessa.

Perché non si tratta di inventarti da zero, ma di ricordarti chi sei. È un lavoro di memoria interiore. Di ricordo di sé. Di ritorno a casa. Dentro di te hai già tutto: desideri, talenti, intuizioni, potenzialità. Solo che la vita, le pressioni esterne, le aspettative e la fatica ti hanno fatto perdere il filo.

E allora questo articolo è anche un invito a ricentrarti. A riconoscere che — anche se oggi ti sembra di non avere il controllo — tu sei e resti la prima responsabile della tua vita. Non colpevole, ma potente. Non sola, ma protagonista.

Perché la felicità non arriva da fuori: si risveglia da dentro. E tutto parte da un atto coraggioso e dolce: **ricordarti di te.

1. Essersi dimenticate cosa rende davvero felici

Questa è la ferita più invisibile.
Non stai male “per qualcosa”.
Stai male per tutto quello che hai smesso di sentire.

Ci insegnano a essere brave, utili, presenti. A far funzionare le cose, a prenderci cura degli altri.
E ci dimentichiamo che la felicità non è un premio da guadagnare con l’efficienza, ma una direzione da coltivare.

Nel mio percorso Happy Life Balance, la prima cosa che facciamo è proprio questa: ritornare a ciò che ti fa brillare.
All’inizio non è facile, perché quando ti chiedono: “Cosa ti fa felice?”, non sempre sai rispondere.
Ma basta allenarsi.
La felicità non è un istante magico. È una pratica. Un'educazione. Un modo di guardarsi dentro.

Uno dei principi fondamentali del coaching umanistico è proprio questo: partire dai tuoi punti di forza. Non per ignorare le tue fragilità, ma per imparare a sostenerle con ciò che hai già dentro di te. Le tue risorse naturali — come la creatività, la determinazione, la capacità di cura, la tenacia — diventano la base solida su cui appoggiarti quando qualcosa traballa. È come costruire una casa ben piantata: non si nega il vento, ma si impara a stare in piedi anche quando soffia forte.

E così, nel tempo, impari a fare luce su ciò che ti nutre, a riconoscere ciò che ti fa bene, e a trasformare quella conoscenza in azione quotidiana.

Come diceva Maria Montessori:

“Aiutami a fare da solo.”
Anche l’adulta che sei oggi ha bisogno di essere aiutata a “fare da sé”, a ritrovare la propria via alla gioia.
E non è mai troppo tardi per imparare.

2. Sognare un cambiamento ma non sapere da dove iniziare

Ogni sogno porta con sé una domanda segreta:
“Sono all’altezza?”

Ecco perché molte donne non iniziano mai.
Perché sentono che sognare è lecito, ma realizzare è troppo: troppo grande, troppo rischioso, troppo lontano da ciò che oggi appare possibile.

Eppure, quello slancio verso il cambiamento non è un capriccio. È il segnale vivo della nostra tensione naturale all’autorealizzazione. Una spinta interna che non ci abbandona mai, anche nei momenti più confusi. Nel coaching umanistico, questa tensione è vista come una delle potenzialità fondamentali dell’essere umano, ed è proprio allenandola che possiamo ricostruire la nostra autostima, non come autogiudizio ma come riconoscimento del nostro valore in divenire.

Ogni volta che rispondi a un desiderio autentico, che scegli un passo nella direzione della tua crescita, stai affermando che sei degna di fiducia. La tua. E lì, proprio lì, la tua stima per te stessa comincia a rinascere.

Nel mio lavoro quotidiano, ho visto decine di donne trasformare il proprio sogno in un percorso.
Non in un colpo di testa, ma in un cammino passo passo, fatto di piccole scelte, nuove consapevolezze, strumenti concreti e visione.
Perché il cambiamento non è una scossa, ma una transizione accompagnata.

E sì, è anche faticoso. Ma è una fatica scelta, e proprio per questo è trasformativa. Non una corsa a vuoto, ma un allenamento consapevole. Ecco perché nel coaching umanistico parliamo di disciplina come forma di libertà: non si tratta di fare sempre quello che vuoi, ma di imparare a volere ciò che fai, perché è in linea con chi sei. Perché ti somiglia. Perché ti rende vera.

E questo è esattamente quello che facciamo insieme in Happy Life Balance:

  • mettiamo ordine nel caos,

perché quando tutto sembra mescolato — pensieri, emozioni, doveri, aspettative — il primo passo non è fare di più, ma vedere meglio. Mettere ordine nel caos significa fermarsi e dare un nome alle cose: cosa sento davvero? Cosa mi sta chiedendo la vita? Cosa desidero per me, non per compiacere? È un processo di chiarezza profonda, in cui il disordine diventa occasione di consapevolezza. Il coaching umanistico ci accompagna anche in questo: non per semplificare la vita, ma per riconoscere in mezzo al rumore ciò che conta davvero per noi, e cominciare da lì.

  • diamo voce ai desideri,

perché spesso li abbiamo messi a tacere per troppo tempo. Cresciute nell’idea che fosse più importante essere utili che autentiche, abbiamo imparato a ignorare ciò che ci chiama dentro. Ma i desideri veri — quelli che vengono dal cuore, non dal bisogno di approvazione — non urlano, bussano piano. Dargli voce significa ascoltarli con rispetto, anche quando sembrano scomodi o fuori rotta. Significa imparare a dire: “Questo lo voglio per me, non per essere abbastanza per gli altri, ma per essere vera con me stessa.” Significa anche concedersi il diritto di desiderare senza doverlo giustificare.

  • trasformiamo l’ansia in energia,

perché l’ansia non è sempre un nemico da combattere, ma un messaggio da ascoltare. È una forma di energia che chiede direzione. Quando impariamo a riconoscerla, a nominarla, e a metterla al servizio di qualcosa di significativo, allora diventa spinta creativa. Proprio su questo abbiamo lavorato durante l’evento Glowup Rosa di lunedì 7 luglio, dove con tante donne coraggiose abbiamo trasformato insieme il nodo dell’ansia in un’occasione di ascolto, di condivisione e di forza. Abbiamo visto che l’ansia non va tolta, ma trasformata: in consapevolezza, in respiro, in movimento. In energia, appunto.

  • facciamo chiarezza su ciò che conta davvero,

perché spesso ci troviamo a vivere giornate piene, ma vuote di significato. Fare chiarezza significa distinguere l’essenziale dall’accessorio, ciò che nutre da ciò che semplicemente occupa spazio. È un processo di selezione interiore, in cui impariamo a riconoscere i nostri veri valori, le relazioni che ci arricchiscono, le attività che ci fanno sentire vive. È un atto di verità, che richiede presenza e coraggio, ma che ci restituisce il potere di scegliere in base a ciò che ci corrisponde davvero. In Happy Life Balance, questo significa imparare a dire dei sì pieni e dei no liberi. Significa imparare a orientare la bussola verso ciò che dà senso, piuttosto che lasciarsi trascinare dall’urgenza del fare.

3. Sognare una nuova versione di sé ma non sapere se sia possibile

La verità è che tu esisti già, anche nella tua versione nuova.
È dentro di te, come un seme che aspetta le condizioni giuste.
Il problema è che spesso cerchiamo conferme fuori:

  • negli altri,
  • nei ruoli,
  • nei risultati,
  • nell’approvazione.

E quando ci esponiamo al mondo in cerca di conferme, entriamo spesso in una zona fragile dove il giudizio degli altri diventa misura del nostro valore. Ma è importante distinguere: un’opinione è un punto di vista, il giudizio è una condanna. L’opinione lascia spazio alla curiosità, alla crescita, al confronto. Il giudizio blocca, riduce, irrigidisce.

E troppe volte ci facciamo condizionare da giudizi che in realtà non parlano di noi, ma delle paure e dei limiti di chi li esprime. Spesso chi giudica sta semplicemente cercando di proteggere se stesso da ciò che non conosce, da ciò che lo mette in discussione, o da ciò che non ha avuto il coraggio di scegliere. Il giudizio diventa così un riflesso delle sue insicurezze, dei suoi freni, dei suoi schemi irrisolti.

Eppure, quando non siamo ben radicate in noi stesse, quei giudizi ci colpiscono come se fossero verità assolute. Così finiamo per mettere in discussione la nostra autenticità, per vergognarci del nostro desiderio di cambiare, per spegnere la voce che dentro di noi già sa dove andare. In realtà, ciò che ci ferisce non è il giudizio in sé, ma il fatto che in quel momento non siamo ancora abbastanza centrati per lasciarlo andare.

Nel percorso Happy Life Balance, impariamo a riconoscere quei giudizi, a smontarli con amorevolezza e consapevolezza, e a riappropriarci del nostro sguardo su di noi. Perché solo noi possiamo dire chi siamo davvero. E solo noi possiamo dare fiducia alla nostra parte nuova, che non aspetta altro che essere vissuta.

Prima di iniziare un percorso, quella parte più autentica di noi può restare a lungo nascosta sotto una coltre di frasi che non ci appartengono davvero: i “non si può”, i “non serve”, gli “ormai” che abbiamo interiorizzato da altri. Sono pensieri limitanti, seminati — spesso inconsapevolmente — da persone che non hanno saputo o voluto credere in sé stesse. Giudizi che nascono dalle loro paure, dal loro bisogno di controllo o dalla frustrazione di non aver mai avuto il coraggio di cambiare. Ma questi giudizi parlano di loro, non di noi. E riconoscerlo è già un atto di libertà. 

Nel percorso Happy Life Balance impariamo a smettere di aspettare di essere diverse per iniziare a vivere.
Iniziamo a vivere mentre cambiamo, perché non esiste un momento perfetto in cui tutto sarà a posto e noi finalmente pronte. Vivere mentre cambiamo significa accettare il processo, entrare nella vita reale con tutte le sue imperfezioni e contraddizioni, e scegliere comunque di esserci, di agire, di amare, di sperare. Non più rimandare, ma partecipare.

E in quel partecipare, qualcosa si sblocca. La vita risponde. La nuova versione di noi non è un traguardo lontano: è un movimento interiore che si attiva proprio quando iniziamo a prenderci sul serio. Quando smettiamo di aspettare l'approvazione e cominciamo ad approvarci.

E mentre cambiamo, scopriamo che la versione nuova… era già pronta.
Ci aspettava.
Sapeva già la strada.

4. Sentire che “così non si può andare avanti”, ma non avere una direzione

Questa è la fase più dura. Ma anche quella in cui tutto è possibile.
È lì che nasce la spinta: quando il malessere non si può più ignorare, ma il futuro non è ancora visibile. È un momento di grande vulnerabilità, ma anche di verità. Perché tutto ciò che non è autentico cade, e resta solo l'essenziale.

Ed è proprio qui che possiamo cominciare a porci la domanda più potente di tutte:
“A quale scopo faccio quello che faccio, penso quello che penso, dico quello che dico, spero quello che spero?”

Questa domanda ci restituisce immediatamente la responsabilità di ciò che viviamo. Ci obbliga a uscire dall'automatismo e a riconnetterci con l'intenzione. Non per giudicarci, ma per comprenderci.

Perché ogni azione ha un movente, consapevole o no. Nulla di ciò che facciamo, pensiamo o scegliamo è mai del tutto neutro: ogni gesto nasce da un bisogno, da un valore, da una paura, da un desiderio, da una convinzione radicata. Portare alla luce quel movente significa fare spazio alla verità, anche quando è scomoda o difficile da accettare. Significa smettere di vivere in reazione e cominciare a vivere in relazione: con sé stesse, con gli altri, con ciò che conta davvero.

Solo così possiamo scegliere davvero. È così che si comincia a costruire la direzione: non da fuori, ma da dentro.

Come scrive il filosofo israeliano Avishai Margalit,

"La speranza è una forma di memoria al futuro. Si spera perché ci si ricorda che in passato si è stati capaci di resistere, e di cambiare."

In questo senso, la speranza è molto più di un'emozione passeggera: è una potenzialità interiore. Martin Seligman, padre della psicologia positiva, la definisce come parte integrante della virtù della trascendenza, quella capacità dell’essere umano di stare ben piantati nel presente, e allo stesso tempo di collegarsi a un senso più grande, a una visione che dà significato anche alle difficoltà. Allenare la speranza significa allenare lo sguardo lungo, il coraggio gentile di credere che qualcosa di buono può ancora accadere — non perché tutto andrà bene da solo, ma perché noi possiamo fare la nostra parte per renderlo possibile.

Allora non serve avere un piano perfetto, ma serva avere una direzione.
Serve sentire che è il momento giusto e il posto giusto.
Non in modo rigido, ma amorevole.
Serve darsi uno spazio per ascoltarsi, farsi domande nuove, esplorare.
Serve riprendere contatto con il proprio centro, con ciò che è essenziale e non delegabile: la propria libertà interiore.

Ecco perché il Happy Life Balance non è un percorso motivazionale. 
È un allenamento alla libertà personale, un invito a fermarti, respirare e chiederti:

“E se adesso scegliessi davvero me stessa, cosa cambierebbe?”

Darsi Da Fare, davvero.

Cambiare si può.
Ritrovare se stesse si può.
Allenare la felicità si può.
Ma serve DDF – Darsi Da Fare, non in modo frenetico, ma intenzionale.

E serve anche allenamento. Come per il corpo, anche la mente e il cuore hanno bisogno di esercizio costante e consapevole. Nessuno si sveglia un giorno con la forza interiore, la serenità o la lucidità già pronte. Si allenano. Si sviluppano un passo alla volta, attraverso piccoli gesti quotidiani, decisioni coerenti, momenti di presenza.

Per questo, la moda del momento che proclama "volere è potere" rischia di essere una grande illusione. Volere è un inizio, certo, ma non basta. Senza allenamento concreto e quotidiano, senza una pratica che trasforma la volontà in azione, quella volontà si esaurisce, si sgretola. È solo affermazione mentale. Funziona — e si potenzia davvero — solo se, e davvero solo se, è accompagnata da scelte reali, da esercizi interiori, da perseveranza. È lì che il potere personale prende forma: quando alleniamo ciò che vogliamo diventare.

Allenare la felicità significa imparare a scegliere ciò che ci fa bene, anche quando costa fatica. Significa allenare lo sguardo, la gratitudine, il perdono, la fiducia. Significa riscoprire che anche il coraggio è un muscolo: più lo usi, più diventa naturale.

Ecco perché parlo spesso di “allenamento alla felicità”: perché non è una condizione statica, ma un processo attivo, una pratica concreta, un cammino da vivere.

E questo è l’invito che ti lascio:
Non continuare a resistere. Inizia a rispondere.
Alle tue domande. Ai tuoi sogni. A quel bisogno profondo che hai dentro.
E se senti che è il tuo momento, io sono qui.

Il mio percorso Happy Life Balance è nato proprio per accompagnarti in questo passaggio.
Per non lasciarti sola nel cambiamento.
Perché sì, felici s’impara. Ma si impara insieme.

 

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26/04/2025

Non perfetti, ma presenti: nasce lo Spazio del Noi

26/04/2025

Non perfetti, ma presenti: nasce lo Spazio del Noi

Non perfetti, ma presenti: nasce lo Spazio del Noi

Chi l’ha detto che per essere dei bravi genitori, nonni, zii, educatori o insegnanti dobbiamo essere perfetti?
Chi ha messo in giro questa voce pericolosa, che ci fa sentire sempre un passo indietro, sempre inadeguati, sempre “sbagliati”?

Educare non è questione di perfezione.
Educare è questione di presenza.
È il coraggio di stare nelle cose, di mettersi in gioco, di fare esperienza. È guardare in faccia le difficoltà senza fuggire, senza far finta di niente, ma anche senza puntare il dito contro noi stessi o contro gli altri.

È proprio quando ci concediamo il lusso di non sapere tutto, ma scegliamo comunque di esserci, che facciamo la differenza.
Perché chi si prende cura di un bambino, di una bambina, di un ragazzo o di una ragazza, lo sa: ogni giorno è una scoperta. Ogni giorno ci mette davanti qualcosa di nuovo. E nessuno ci ha dato il libretto delle istruzioni.

Ma la buona notizia è che felici s’impara.
Si impara insieme, a piccoli passi, confrontandosi, ascoltandosi, sostenendosi.

È con questo spirito che nasce lo Spazio del Noi.

Uno spazio pensato per chi ha una responsabilità educativa — genitori, nonni, zii, insegnanti, educatori — e sente il bisogno di non sentirsi solo in questo compito meraviglioso e faticoso.
Uno spazio dove potersi raccontare senza paura di essere giudicati, ma con la certezza di essere accolti.
Dove le domande contano più delle risposte.
Dove si può condividere ciò che funziona, ciò che non funziona, ciò che si vorrebbe provare.

Un luogo in cui trovare respiro e sentirsi “nella stessa barca”, perché quando ci si confronta davvero, le difficoltà diventano un’opportunità concreta di cambiamento.

Io ci sarò come guida, come allenatrice di felicità, per aiutarti ad allenare uno sguardo nuovo: uno sguardo capace di vedere i punti di forza, le potenzialità, tutto quello che già c’è e che funziona.
Perché sì, esiste sempre qualcosa che funziona. A volte è solo questione di imparare a vederlo.

E lo faremo insieme, con quello che chiamo sempre il DDF — Darsi Da Fare, perché il cambiamento non avviene a colpi di teoria, ma con piccoli passi quotidiani, concreti, veri.

Tre fondamenta per questo progetto: il coaching umanistico, il coaching spirituale e il metodo Montessori

Lo Spazio del Noi si appoggia su tre pilastri che per me sono molto più che teorie: sono strade di vita, sono il modo in cui scelgo ogni giorno di stare nel mondo e di accompagnare le persone nei percorsi di crescita.

1. Il coaching umanistico: allenare lo sguardo, scoprire i punti di forza

Il coaching umanistico parte da una domanda potente: Chi vuoi essere?
Non si concentra sugli errori o sulle mancanze, ma sul potenziale, su ciò che può essere allenato e sviluppato.
È un invito a cambiare il modo di pensare, ad allenarci a cercare ciò che funziona invece di rincorrere ciò che manca.
Allenamento, costanza, gentilezza verso sé stessi.
È credere nella possibilità di vedere il mondo e noi stessi con occhi nuovi.

2. Il coaching spirituale: ascoltare chi sei, nutrire la tua essenza

Ma prima di chiederci chi vogliamo diventare, c’è una domanda ancora più vera, più intima: Chi sei?
Il coaching spirituale, che sto approfondendo con il percorso di SpiritualCoach di Lucia Merico, ci accompagna in questo viaggio di ritorno a casa, verso la nostra essenza più profonda.
Perché non possiamo portare fuori una visione buona, se prima non impariamo ad accoglierla dentro di noi.
È imparare a stare con ciò che c’è, senza maschere, senza bisogno di aggiustare, senza fretta di cambiare.
È nutrire la fiducia nel proprio sentire, nella propria voce interiore.
Perché solo chi si è incontrato davvero, può accompagnare un altro con autenticità.

3. Il metodo Montessori: osservare, rispettare, crescere insieme

Maria Montessori ci insegna che l’educazione non è un atto di imposizione, ma di ascolto.
L’adulto non plasma, ma osserva con umiltà e pazienza. Prepara l’ambiente e si mette al servizio della crescita.
L’osservazione montessoriana è viva, presente, mai passiva: è uno sguardo che non giudica, che non forza, ma che si apre alla possibilità di comprendere, di sostenere senza invadere, di rispettare i tempi e i bisogni dell’altro.
E per fare questo, l’adulto deve prima di tutto lavorare su di sé, allenare la propria capacità di presenza, il proprio equilibrio interiore, la propria crescita spirituale.

Come funziona lo Spazio del Noi

Quando: il giovedì sera, ogni 15 giorni, dalle 21 alle 22.30

Dove: online, comodo da casa, con il cuore aperto e il desiderio di condividere

Si parte: giovedì 29 maggio 2025 (l’ultimo giovedì di maggio)

Pausa estiva: tutto il mese di agosto

Quanto costa: una cifra simbolica di 20 euro all’anno, da versare tramite bonifico con nome e cognome. Non per “pagare” il tempo, ma come assunzione di responsabilità, come scelta di esserci davvero.

Come iscriversi:


Basta scrivermi una mail a info@santinabossini.it indicando:

Nome e cognome

Numero di cellulare

Indirizzo mail

Oggetto: “Io ho deciso di iscrivermi allo Spazio del Noi”

Allegando la ricevuta del bonifico.

Ti invito al webinar di presentazione!

Per conoscere meglio il progetto, per capire insieme cosa ci aspetta in questo percorso, per farmi tutte le domande che vuoi, ti aspetto al webinar gratuito di presentazione:

�� Giovedì 22 maggio 2025
�� Dalle 21 alle 22
�� Online, su Google Meet (ti invierò il link su richiesta)

Sarà l’occasione per incontrarci, per raccontarti di più su questo spazio, e per iniziare a fare insieme il primo passo.

Perché felici s’impara. E il primo passo, lo sai, è sempre il DDF – Darsi Da Fare.

Santina – allenatrice di felicità

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