la nuova te non e lontana e sepolta viva
09/07/2025 Blog

La nuova te non è lontana. È sepolta viva.

(Non devi inventarti. Devi solo ricordarti chi sei.)

Succede piano.
Non è un uragano, ma piuttosto una nebbia silenziosa.
Ti alzi ogni giorno, fai quello che “devi”, incastri gli impegni, porti avanti tutto con cura e senso del dovere. E così, senza accorgertene, attivi il pilota automatico.

Quel meccanismo invisibile che ti fa andare avanti per inerzia: rispondi alle esigenze degli altri, spunti le cose da fare, ti adatti a ogni imprevisto, ma non ti chiedi più se ciò che stai vivendo ti corrisponde davvero.

Il pilota automatico ti fa sopravvivere, ma non ti fa scegliere. Ti protegge dalla fatica della consapevolezza, ma ti allontana ogni giorno un po’ di più da te stessa. Ti fa sembrare "organizzata", ma in realtà sei solo in apnea.

E intanto, un po’ alla volta, perdi il contatto con ciò che ti fa bene davvero. Con ciò che ti accende. Con chi sei tu, oltre i ruoli.

All’inizio non te ne accorgi.
Poi cominci a sentire qualcosa che stride. Una stanchezza che non passa. Una voce interiore che ti sussurra:

“Così non può andare avanti”.
Ma non sai da dove partire. E allora continui. Tieni botta. Ti dici che forse passerà. Che magari in vacanza. Magari con più tempo. Magari il mese prossimo.

Intanto, però, non sei felice.
E nemmeno infelice.
Sei sospesa. In bilico tra ciò che senti e ciò che fai. Ti muovi, ma senza una vera direzione. Funzioni, ma non vivi davvero. Non c’è un dolore preciso, ma una assenza di gioia, come se qualcosa dentro fosse rimasto indietro. Una parte di te osserva tutto da lontano, aspettando un segnale, un appiglio, un motivo vero per ricominciare. È come abitare una vita che conosci, ma che non ti appartiene più davvero. Eppure continui. Per abitudine, per responsabilità, per affetto. Ma nel profondo, una voce resta lì, in attesa. E tu con lei.

Questo articolo è per te, che ti sei dimenticata — o ti hanno fatto dimenticare — cosa ti rende davvero felice.
È per te che sogni una nuova versione di te stessa, ma temi che sia tardi, o troppo difficile.
È per te che senti l’urgenza del cambiamento, ma non hai una direzione chiara.
È per te che stai resistendo, ma vorresti finalmente scegliere.
E magari, per la prima volta, scegliere te stessa.

Perché non si tratta di inventarti da zero, ma di ricordarti chi sei. È un lavoro di memoria interiore. Di ricordo di sé. Di ritorno a casa. Dentro di te hai già tutto: desideri, talenti, intuizioni, potenzialità. Solo che la vita, le pressioni esterne, le aspettative e la fatica ti hanno fatto perdere il filo.

E allora questo articolo è anche un invito a ricentrarti. A riconoscere che — anche se oggi ti sembra di non avere il controllo — tu sei e resti la prima responsabile della tua vita. Non colpevole, ma potente. Non sola, ma protagonista.

Perché la felicità non arriva da fuori: si risveglia da dentro. E tutto parte da un atto coraggioso e dolce: **ricordarti di te.

1. Essersi dimenticate cosa rende davvero felici

Questa è la ferita più invisibile.
Non stai male “per qualcosa”.
Stai male per tutto quello che hai smesso di sentire.

Ci insegnano a essere brave, utili, presenti. A far funzionare le cose, a prenderci cura degli altri.
E ci dimentichiamo che la felicità non è un premio da guadagnare con l’efficienza, ma una direzione da coltivare.

Nel mio percorso Happy Life Balance, la prima cosa che facciamo è proprio questa: ritornare a ciò che ti fa brillare.
All’inizio non è facile, perché quando ti chiedono: “Cosa ti fa felice?”, non sempre sai rispondere.
Ma basta allenarsi.
La felicità non è un istante magico. È una pratica. Un'educazione. Un modo di guardarsi dentro.

Uno dei principi fondamentali del coaching umanistico è proprio questo: partire dai tuoi punti di forza. Non per ignorare le tue fragilità, ma per imparare a sostenerle con ciò che hai già dentro di te. Le tue risorse naturali — come la creatività, la determinazione, la capacità di cura, la tenacia — diventano la base solida su cui appoggiarti quando qualcosa traballa. È come costruire una casa ben piantata: non si nega il vento, ma si impara a stare in piedi anche quando soffia forte.

E così, nel tempo, impari a fare luce su ciò che ti nutre, a riconoscere ciò che ti fa bene, e a trasformare quella conoscenza in azione quotidiana.

Come diceva Maria Montessori:

“Aiutami a fare da solo.”
Anche l’adulta che sei oggi ha bisogno di essere aiutata a “fare da sé”, a ritrovare la propria via alla gioia.
E non è mai troppo tardi per imparare.

2. Sognare un cambiamento ma non sapere da dove iniziare

Ogni sogno porta con sé una domanda segreta:
“Sono all’altezza?”

Ecco perché molte donne non iniziano mai.
Perché sentono che sognare è lecito, ma realizzare è troppo: troppo grande, troppo rischioso, troppo lontano da ciò che oggi appare possibile.

Eppure, quello slancio verso il cambiamento non è un capriccio. È il segnale vivo della nostra tensione naturale all’autorealizzazione. Una spinta interna che non ci abbandona mai, anche nei momenti più confusi. Nel coaching umanistico, questa tensione è vista come una delle potenzialità fondamentali dell’essere umano, ed è proprio allenandola che possiamo ricostruire la nostra autostima, non come autogiudizio ma come riconoscimento del nostro valore in divenire.

Ogni volta che rispondi a un desiderio autentico, che scegli un passo nella direzione della tua crescita, stai affermando che sei degna di fiducia. La tua. E lì, proprio lì, la tua stima per te stessa comincia a rinascere.

Nel mio lavoro quotidiano, ho visto decine di donne trasformare il proprio sogno in un percorso.
Non in un colpo di testa, ma in un cammino passo passo, fatto di piccole scelte, nuove consapevolezze, strumenti concreti e visione.
Perché il cambiamento non è una scossa, ma una transizione accompagnata.

E sì, è anche faticoso. Ma è una fatica scelta, e proprio per questo è trasformativa. Non una corsa a vuoto, ma un allenamento consapevole. Ecco perché nel coaching umanistico parliamo di disciplina come forma di libertà: non si tratta di fare sempre quello che vuoi, ma di imparare a volere ciò che fai, perché è in linea con chi sei. Perché ti somiglia. Perché ti rende vera.

E questo è esattamente quello che facciamo insieme in Happy Life Balance:

  • mettiamo ordine nel caos,

perché quando tutto sembra mescolato — pensieri, emozioni, doveri, aspettative — il primo passo non è fare di più, ma vedere meglio. Mettere ordine nel caos significa fermarsi e dare un nome alle cose: cosa sento davvero? Cosa mi sta chiedendo la vita? Cosa desidero per me, non per compiacere? È un processo di chiarezza profonda, in cui il disordine diventa occasione di consapevolezza. Il coaching umanistico ci accompagna anche in questo: non per semplificare la vita, ma per riconoscere in mezzo al rumore ciò che conta davvero per noi, e cominciare da lì.

  • diamo voce ai desideri,

perché spesso li abbiamo messi a tacere per troppo tempo. Cresciute nell’idea che fosse più importante essere utili che autentiche, abbiamo imparato a ignorare ciò che ci chiama dentro. Ma i desideri veri — quelli che vengono dal cuore, non dal bisogno di approvazione — non urlano, bussano piano. Dargli voce significa ascoltarli con rispetto, anche quando sembrano scomodi o fuori rotta. Significa imparare a dire: “Questo lo voglio per me, non per essere abbastanza per gli altri, ma per essere vera con me stessa.” Significa anche concedersi il diritto di desiderare senza doverlo giustificare.

  • trasformiamo l’ansia in energia,

perché l’ansia non è sempre un nemico da combattere, ma un messaggio da ascoltare. È una forma di energia che chiede direzione. Quando impariamo a riconoscerla, a nominarla, e a metterla al servizio di qualcosa di significativo, allora diventa spinta creativa. Proprio su questo abbiamo lavorato durante l’evento Glowup Rosa di lunedì 7 luglio, dove con tante donne coraggiose abbiamo trasformato insieme il nodo dell’ansia in un’occasione di ascolto, di condivisione e di forza. Abbiamo visto che l’ansia non va tolta, ma trasformata: in consapevolezza, in respiro, in movimento. In energia, appunto.

  • facciamo chiarezza su ciò che conta davvero,

perché spesso ci troviamo a vivere giornate piene, ma vuote di significato. Fare chiarezza significa distinguere l’essenziale dall’accessorio, ciò che nutre da ciò che semplicemente occupa spazio. È un processo di selezione interiore, in cui impariamo a riconoscere i nostri veri valori, le relazioni che ci arricchiscono, le attività che ci fanno sentire vive. È un atto di verità, che richiede presenza e coraggio, ma che ci restituisce il potere di scegliere in base a ciò che ci corrisponde davvero. In Happy Life Balance, questo significa imparare a dire dei sì pieni e dei no liberi. Significa imparare a orientare la bussola verso ciò che dà senso, piuttosto che lasciarsi trascinare dall’urgenza del fare.

3. Sognare una nuova versione di sé ma non sapere se sia possibile

La verità è che tu esisti già, anche nella tua versione nuova.
È dentro di te, come un seme che aspetta le condizioni giuste.
Il problema è che spesso cerchiamo conferme fuori:

  • negli altri,
  • nei ruoli,
  • nei risultati,
  • nell’approvazione.

E quando ci esponiamo al mondo in cerca di conferme, entriamo spesso in una zona fragile dove il giudizio degli altri diventa misura del nostro valore. Ma è importante distinguere: un’opinione è un punto di vista, il giudizio è una condanna. L’opinione lascia spazio alla curiosità, alla crescita, al confronto. Il giudizio blocca, riduce, irrigidisce.

E troppe volte ci facciamo condizionare da giudizi che in realtà non parlano di noi, ma delle paure e dei limiti di chi li esprime. Spesso chi giudica sta semplicemente cercando di proteggere se stesso da ciò che non conosce, da ciò che lo mette in discussione, o da ciò che non ha avuto il coraggio di scegliere. Il giudizio diventa così un riflesso delle sue insicurezze, dei suoi freni, dei suoi schemi irrisolti.

Eppure, quando non siamo ben radicate in noi stesse, quei giudizi ci colpiscono come se fossero verità assolute. Così finiamo per mettere in discussione la nostra autenticità, per vergognarci del nostro desiderio di cambiare, per spegnere la voce che dentro di noi già sa dove andare. In realtà, ciò che ci ferisce non è il giudizio in sé, ma il fatto che in quel momento non siamo ancora abbastanza centrati per lasciarlo andare.

Nel percorso Happy Life Balance, impariamo a riconoscere quei giudizi, a smontarli con amorevolezza e consapevolezza, e a riappropriarci del nostro sguardo su di noi. Perché solo noi possiamo dire chi siamo davvero. E solo noi possiamo dare fiducia alla nostra parte nuova, che non aspetta altro che essere vissuta.

Prima di iniziare un percorso, quella parte più autentica di noi può restare a lungo nascosta sotto una coltre di frasi che non ci appartengono davvero: i “non si può”, i “non serve”, gli “ormai” che abbiamo interiorizzato da altri. Sono pensieri limitanti, seminati — spesso inconsapevolmente — da persone che non hanno saputo o voluto credere in sé stesse. Giudizi che nascono dalle loro paure, dal loro bisogno di controllo o dalla frustrazione di non aver mai avuto il coraggio di cambiare. Ma questi giudizi parlano di loro, non di noi. E riconoscerlo è già un atto di libertà. 

Nel percorso Happy Life Balance impariamo a smettere di aspettare di essere diverse per iniziare a vivere.
Iniziamo a vivere mentre cambiamo, perché non esiste un momento perfetto in cui tutto sarà a posto e noi finalmente pronte. Vivere mentre cambiamo significa accettare il processo, entrare nella vita reale con tutte le sue imperfezioni e contraddizioni, e scegliere comunque di esserci, di agire, di amare, di sperare. Non più rimandare, ma partecipare.

E in quel partecipare, qualcosa si sblocca. La vita risponde. La nuova versione di noi non è un traguardo lontano: è un movimento interiore che si attiva proprio quando iniziamo a prenderci sul serio. Quando smettiamo di aspettare l'approvazione e cominciamo ad approvarci.

E mentre cambiamo, scopriamo che la versione nuova… era già pronta.
Ci aspettava.
Sapeva già la strada.

4. Sentire che “così non si può andare avanti”, ma non avere una direzione

Questa è la fase più dura. Ma anche quella in cui tutto è possibile.
È lì che nasce la spinta: quando il malessere non si può più ignorare, ma il futuro non è ancora visibile. È un momento di grande vulnerabilità, ma anche di verità. Perché tutto ciò che non è autentico cade, e resta solo l'essenziale.

Ed è proprio qui che possiamo cominciare a porci la domanda più potente di tutte:
“A quale scopo faccio quello che faccio, penso quello che penso, dico quello che dico, spero quello che spero?”

Questa domanda ci restituisce immediatamente la responsabilità di ciò che viviamo. Ci obbliga a uscire dall'automatismo e a riconnetterci con l'intenzione. Non per giudicarci, ma per comprenderci.

Perché ogni azione ha un movente, consapevole o no. Nulla di ciò che facciamo, pensiamo o scegliamo è mai del tutto neutro: ogni gesto nasce da un bisogno, da un valore, da una paura, da un desiderio, da una convinzione radicata. Portare alla luce quel movente significa fare spazio alla verità, anche quando è scomoda o difficile da accettare. Significa smettere di vivere in reazione e cominciare a vivere in relazione: con sé stesse, con gli altri, con ciò che conta davvero.

Solo così possiamo scegliere davvero. È così che si comincia a costruire la direzione: non da fuori, ma da dentro.

Come scrive il filosofo israeliano Avishai Margalit,

"La speranza è una forma di memoria al futuro. Si spera perché ci si ricorda che in passato si è stati capaci di resistere, e di cambiare."

In questo senso, la speranza è molto più di un'emozione passeggera: è una potenzialità interiore. Martin Seligman, padre della psicologia positiva, la definisce come parte integrante della virtù della trascendenza, quella capacità dell’essere umano di stare ben piantati nel presente, e allo stesso tempo di collegarsi a un senso più grande, a una visione che dà significato anche alle difficoltà. Allenare la speranza significa allenare lo sguardo lungo, il coraggio gentile di credere che qualcosa di buono può ancora accadere — non perché tutto andrà bene da solo, ma perché noi possiamo fare la nostra parte per renderlo possibile.

Allora non serve avere un piano perfetto, ma serva avere una direzione.
Serve sentire che è il momento giusto e il posto giusto.
Non in modo rigido, ma amorevole.
Serve darsi uno spazio per ascoltarsi, farsi domande nuove, esplorare.
Serve riprendere contatto con il proprio centro, con ciò che è essenziale e non delegabile: la propria libertà interiore.

Ecco perché il Happy Life Balance non è un percorso motivazionale. 
È un allenamento alla libertà personale, un invito a fermarti, respirare e chiederti:

“E se adesso scegliessi davvero me stessa, cosa cambierebbe?”

Darsi Da Fare, davvero.

Cambiare si può.
Ritrovare se stesse si può.
Allenare la felicità si può.
Ma serve DDF – Darsi Da Fare, non in modo frenetico, ma intenzionale.

E serve anche allenamento. Come per il corpo, anche la mente e il cuore hanno bisogno di esercizio costante e consapevole. Nessuno si sveglia un giorno con la forza interiore, la serenità o la lucidità già pronte. Si allenano. Si sviluppano un passo alla volta, attraverso piccoli gesti quotidiani, decisioni coerenti, momenti di presenza.

Per questo, la moda del momento che proclama "volere è potere" rischia di essere una grande illusione. Volere è un inizio, certo, ma non basta. Senza allenamento concreto e quotidiano, senza una pratica che trasforma la volontà in azione, quella volontà si esaurisce, si sgretola. È solo affermazione mentale. Funziona — e si potenzia davvero — solo se, e davvero solo se, è accompagnata da scelte reali, da esercizi interiori, da perseveranza. È lì che il potere personale prende forma: quando alleniamo ciò che vogliamo diventare.

Allenare la felicità significa imparare a scegliere ciò che ci fa bene, anche quando costa fatica. Significa allenare lo sguardo, la gratitudine, il perdono, la fiducia. Significa riscoprire che anche il coraggio è un muscolo: più lo usi, più diventa naturale.

Ecco perché parlo spesso di “allenamento alla felicità”: perché non è una condizione statica, ma un processo attivo, una pratica concreta, un cammino da vivere.

E questo è l’invito che ti lascio:
Non continuare a resistere. Inizia a rispondere.
Alle tue domande. Ai tuoi sogni. A quel bisogno profondo che hai dentro.
E se senti che è il tuo momento, io sono qui.

Il mio percorso Happy Life Balance è nato proprio per accompagnarti in questo passaggio.
Per non lasciarti sola nel cambiamento.
Perché sì, felici s’impara. Ma si impara insieme.

 

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Succede piano.
Non è un uragano, ma piuttosto una nebbia silenziosa.
Ti alzi ogni giorno, fai quello che “devi”, incastri gli impegni, porti avanti tutto con cura e senso del dovere. E così, senza accorgertene, attivi il pilota automatico.

Quel meccanismo invisibile che ti fa andare avanti per inerzia: rispondi alle esigenze degli altri, spunti le cose da fare, ti adatti a ogni imprevisto, ma non ti chiedi più se ciò che stai vivendo ti corrisponde davvero.

Il pilota automatico ti fa sopravvivere, ma non ti fa scegliere. Ti protegge dalla fatica della consapevolezza, ma ti allontana ogni giorno un po’ di più da te stessa. Ti fa sembrare "organizzata", ma in realtà sei solo in apnea.

E intanto, un po’ alla volta, perdi il contatto con ciò che ti fa bene davvero. Con ciò che ti accende. Con chi sei tu, oltre i ruoli.

All’inizio non te ne accorgi.
Poi cominci a sentire qualcosa che stride. Una stanchezza che non passa. Una voce interiore che ti sussurra:

“Così non può andare avanti”.
Ma non sai da dove partire. E allora continui. Tieni botta. Ti dici che forse passerà. Che magari in vacanza. Magari con più tempo. Magari il mese prossimo.

Intanto, però, non sei felice.
E nemmeno infelice.
Sei sospesa. In bilico tra ciò che senti e ciò che fai. Ti muovi, ma senza una vera direzione. Funzioni, ma non vivi davvero. Non c’è un dolore preciso, ma una assenza di gioia, come se qualcosa dentro fosse rimasto indietro. Una parte di te osserva tutto da lontano, aspettando un segnale, un appiglio, un motivo vero per ricominciare. È come abitare una vita che conosci, ma che non ti appartiene più davvero. Eppure continui. Per abitudine, per responsabilità, per affetto. Ma nel profondo, una voce resta lì, in attesa. E tu con lei.

Questo articolo è per te, che ti sei dimenticata — o ti hanno fatto dimenticare — cosa ti rende davvero felice.
È per te che sogni una nuova versione di te stessa, ma temi che sia tardi, o troppo difficile.
È per te che senti l’urgenza del cambiamento, ma non hai una direzione chiara.
È per te che stai resistendo, ma vorresti finalmente scegliere.
E magari, per la prima volta, scegliere te stessa.

Perché non si tratta di inventarti da zero, ma di ricordarti chi sei. È un lavoro di memoria interiore. Di ricordo di sé. Di ritorno a casa. Dentro di te hai già tutto: desideri, talenti, intuizioni, potenzialità. Solo che la vita, le pressioni esterne, le aspettative e la fatica ti hanno fatto perdere il filo.

E allora questo articolo è anche un invito a ricentrarti. A riconoscere che — anche se oggi ti sembra di non avere il controllo — tu sei e resti la prima responsabile della tua vita. Non colpevole, ma potente. Non sola, ma protagonista.

Perché la felicità non arriva da fuori: si risveglia da dentro. E tutto parte da un atto coraggioso e dolce: **ricordarti di te.

1. Essersi dimenticate cosa rende davvero felici

Questa è la ferita più invisibile.
Non stai male “per qualcosa”.
Stai male per tutto quello che hai smesso di sentire.

Ci insegnano a essere brave, utili, presenti. A far funzionare le cose, a prenderci cura degli altri.
E ci dimentichiamo che la felicità non è un premio da guadagnare con l’efficienza, ma una direzione da coltivare.

Nel mio percorso Happy Life Balance, la prima cosa che facciamo è proprio questa: ritornare a ciò che ti fa brillare.
All’inizio non è facile, perché quando ti chiedono: “Cosa ti fa felice?”, non sempre sai rispondere.
Ma basta allenarsi.
La felicità non è un istante magico. È una pratica. Un'educazione. Un modo di guardarsi dentro.

Uno dei principi fondamentali del coaching umanistico è proprio questo: partire dai tuoi punti di forza. Non per ignorare le tue fragilità, ma per imparare a sostenerle con ciò che hai già dentro di te. Le tue risorse naturali — come la creatività, la determinazione, la capacità di cura, la tenacia — diventano la base solida su cui appoggiarti quando qualcosa traballa. È come costruire una casa ben piantata: non si nega il vento, ma si impara a stare in piedi anche quando soffia forte.

E così, nel tempo, impari a fare luce su ciò che ti nutre, a riconoscere ciò che ti fa bene, e a trasformare quella conoscenza in azione quotidiana.

Come diceva Maria Montessori:

“Aiutami a fare da solo.”
Anche l’adulta che sei oggi ha bisogno di essere aiutata a “fare da sé”, a ritrovare la propria via alla gioia.
E non è mai troppo tardi per imparare.

2. Sognare un cambiamento ma non sapere da dove iniziare

Ogni sogno porta con sé una domanda segreta:
“Sono all’altezza?”

Ecco perché molte donne non iniziano mai.
Perché sentono che sognare è lecito, ma realizzare è troppo: troppo grande, troppo rischioso, troppo lontano da ciò che oggi appare possibile.

Eppure, quello slancio verso il cambiamento non è un capriccio. È il segnale vivo della nostra tensione naturale all’autorealizzazione. Una spinta interna che non ci abbandona mai, anche nei momenti più confusi. Nel coaching umanistico, questa tensione è vista come una delle potenzialità fondamentali dell’essere umano, ed è proprio allenandola che possiamo ricostruire la nostra autostima, non come autogiudizio ma come riconoscimento del nostro valore in divenire.

Ogni volta che rispondi a un desiderio autentico, che scegli un passo nella direzione della tua crescita, stai affermando che sei degna di fiducia. La tua. E lì, proprio lì, la tua stima per te stessa comincia a rinascere.

Nel mio lavoro quotidiano, ho visto decine di donne trasformare il proprio sogno in un percorso.
Non in un colpo di testa, ma in un cammino passo passo, fatto di piccole scelte, nuove consapevolezze, strumenti concreti e visione.
Perché il cambiamento non è una scossa, ma una transizione accompagnata.

E sì, è anche faticoso. Ma è una fatica scelta, e proprio per questo è trasformativa. Non una corsa a vuoto, ma un allenamento consapevole. Ecco perché nel coaching umanistico parliamo di disciplina come forma di libertà: non si tratta di fare sempre quello che vuoi, ma di imparare a volere ciò che fai, perché è in linea con chi sei. Perché ti somiglia. Perché ti rende vera.

E questo è esattamente quello che facciamo insieme in Happy Life Balance:

  • mettiamo ordine nel caos,

perché quando tutto sembra mescolato — pensieri, emozioni, doveri, aspettative — il primo passo non è fare di più, ma vedere meglio. Mettere ordine nel caos significa fermarsi e dare un nome alle cose: cosa sento davvero? Cosa mi sta chiedendo la vita? Cosa desidero per me, non per compiacere? È un processo di chiarezza profonda, in cui il disordine diventa occasione di consapevolezza. Il coaching umanistico ci accompagna anche in questo: non per semplificare la vita, ma per riconoscere in mezzo al rumore ciò che conta davvero per noi, e cominciare da lì.

  • diamo voce ai desideri,

perché spesso li abbiamo messi a tacere per troppo tempo. Cresciute nell’idea che fosse più importante essere utili che autentiche, abbiamo imparato a ignorare ciò che ci chiama dentro. Ma i desideri veri — quelli che vengono dal cuore, non dal bisogno di approvazione — non urlano, bussano piano. Dargli voce significa ascoltarli con rispetto, anche quando sembrano scomodi o fuori rotta. Significa imparare a dire: “Questo lo voglio per me, non per essere abbastanza per gli altri, ma per essere vera con me stessa.” Significa anche concedersi il diritto di desiderare senza doverlo giustificare.

  • trasformiamo l’ansia in energia,

perché l’ansia non è sempre un nemico da combattere, ma un messaggio da ascoltare. È una forma di energia che chiede direzione. Quando impariamo a riconoscerla, a nominarla, e a metterla al servizio di qualcosa di significativo, allora diventa spinta creativa. Proprio su questo abbiamo lavorato durante l’evento Glowup Rosa di lunedì 7 luglio, dove con tante donne coraggiose abbiamo trasformato insieme il nodo dell’ansia in un’occasione di ascolto, di condivisione e di forza. Abbiamo visto che l’ansia non va tolta, ma trasformata: in consapevolezza, in respiro, in movimento. In energia, appunto.

  • facciamo chiarezza su ciò che conta davvero,

perché spesso ci troviamo a vivere giornate piene, ma vuote di significato. Fare chiarezza significa distinguere l’essenziale dall’accessorio, ciò che nutre da ciò che semplicemente occupa spazio. È un processo di selezione interiore, in cui impariamo a riconoscere i nostri veri valori, le relazioni che ci arricchiscono, le attività che ci fanno sentire vive. È un atto di verità, che richiede presenza e coraggio, ma che ci restituisce il potere di scegliere in base a ciò che ci corrisponde davvero. In Happy Life Balance, questo significa imparare a dire dei sì pieni e dei no liberi. Significa imparare a orientare la bussola verso ciò che dà senso, piuttosto che lasciarsi trascinare dall’urgenza del fare.

3. Sognare una nuova versione di sé ma non sapere se sia possibile

La verità è che tu esisti già, anche nella tua versione nuova.
È dentro di te, come un seme che aspetta le condizioni giuste.
Il problema è che spesso cerchiamo conferme fuori:

  • negli altri,
  • nei ruoli,
  • nei risultati,
  • nell’approvazione.

E quando ci esponiamo al mondo in cerca di conferme, entriamo spesso in una zona fragile dove il giudizio degli altri diventa misura del nostro valore. Ma è importante distinguere: un’opinione è un punto di vista, il giudizio è una condanna. L’opinione lascia spazio alla curiosità, alla crescita, al confronto. Il giudizio blocca, riduce, irrigidisce.

E troppe volte ci facciamo condizionare da giudizi che in realtà non parlano di noi, ma delle paure e dei limiti di chi li esprime. Spesso chi giudica sta semplicemente cercando di proteggere se stesso da ciò che non conosce, da ciò che lo mette in discussione, o da ciò che non ha avuto il coraggio di scegliere. Il giudizio diventa così un riflesso delle sue insicurezze, dei suoi freni, dei suoi schemi irrisolti.

Eppure, quando non siamo ben radicate in noi stesse, quei giudizi ci colpiscono come se fossero verità assolute. Così finiamo per mettere in discussione la nostra autenticità, per vergognarci del nostro desiderio di cambiare, per spegnere la voce che dentro di noi già sa dove andare. In realtà, ciò che ci ferisce non è il giudizio in sé, ma il fatto che in quel momento non siamo ancora abbastanza centrati per lasciarlo andare.

Nel percorso Happy Life Balance, impariamo a riconoscere quei giudizi, a smontarli con amorevolezza e consapevolezza, e a riappropriarci del nostro sguardo su di noi. Perché solo noi possiamo dire chi siamo davvero. E solo noi possiamo dare fiducia alla nostra parte nuova, che non aspetta altro che essere vissuta.

Prima di iniziare un percorso, quella parte più autentica di noi può restare a lungo nascosta sotto una coltre di frasi che non ci appartengono davvero: i “non si può”, i “non serve”, gli “ormai” che abbiamo interiorizzato da altri. Sono pensieri limitanti, seminati — spesso inconsapevolmente — da persone che non hanno saputo o voluto credere in sé stesse. Giudizi che nascono dalle loro paure, dal loro bisogno di controllo o dalla frustrazione di non aver mai avuto il coraggio di cambiare. Ma questi giudizi parlano di loro, non di noi. E riconoscerlo è già un atto di libertà. 

Nel percorso Happy Life Balance impariamo a smettere di aspettare di essere diverse per iniziare a vivere.
Iniziamo a vivere mentre cambiamo, perché non esiste un momento perfetto in cui tutto sarà a posto e noi finalmente pronte. Vivere mentre cambiamo significa accettare il processo, entrare nella vita reale con tutte le sue imperfezioni e contraddizioni, e scegliere comunque di esserci, di agire, di amare, di sperare. Non più rimandare, ma partecipare.

E in quel partecipare, qualcosa si sblocca. La vita risponde. La nuova versione di noi non è un traguardo lontano: è un movimento interiore che si attiva proprio quando iniziamo a prenderci sul serio. Quando smettiamo di aspettare l'approvazione e cominciamo ad approvarci.

E mentre cambiamo, scopriamo che la versione nuova… era già pronta.
Ci aspettava.
Sapeva già la strada.

4. Sentire che “così non si può andare avanti”, ma non avere una direzione

Questa è la fase più dura. Ma anche quella in cui tutto è possibile.
È lì che nasce la spinta: quando il malessere non si può più ignorare, ma il futuro non è ancora visibile. È un momento di grande vulnerabilità, ma anche di verità. Perché tutto ciò che non è autentico cade, e resta solo l'essenziale.

Ed è proprio qui che possiamo cominciare a porci la domanda più potente di tutte:
“A quale scopo faccio quello che faccio, penso quello che penso, dico quello che dico, spero quello che spero?”

Questa domanda ci restituisce immediatamente la responsabilità di ciò che viviamo. Ci obbliga a uscire dall'automatismo e a riconnetterci con l'intenzione. Non per giudicarci, ma per comprenderci.

Perché ogni azione ha un movente, consapevole o no. Nulla di ciò che facciamo, pensiamo o scegliamo è mai del tutto neutro: ogni gesto nasce da un bisogno, da un valore, da una paura, da un desiderio, da una convinzione radicata. Portare alla luce quel movente significa fare spazio alla verità, anche quando è scomoda o difficile da accettare. Significa smettere di vivere in reazione e cominciare a vivere in relazione: con sé stesse, con gli altri, con ciò che conta davvero.

Solo così possiamo scegliere davvero. È così che si comincia a costruire la direzione: non da fuori, ma da dentro.

Come scrive il filosofo israeliano Avishai Margalit,

"La speranza è una forma di memoria al futuro. Si spera perché ci si ricorda che in passato si è stati capaci di resistere, e di cambiare."

In questo senso, la speranza è molto più di un'emozione passeggera: è una potenzialità interiore. Martin Seligman, padre della psicologia positiva, la definisce come parte integrante della virtù della trascendenza, quella capacità dell’essere umano di stare ben piantati nel presente, e allo stesso tempo di collegarsi a un senso più grande, a una visione che dà significato anche alle difficoltà. Allenare la speranza significa allenare lo sguardo lungo, il coraggio gentile di credere che qualcosa di buono può ancora accadere — non perché tutto andrà bene da solo, ma perché noi possiamo fare la nostra parte per renderlo possibile.

Allora non serve avere un piano perfetto, ma serva avere una direzione.
Serve sentire che è il momento giusto e il posto giusto.
Non in modo rigido, ma amorevole.
Serve darsi uno spazio per ascoltarsi, farsi domande nuove, esplorare.
Serve riprendere contatto con il proprio centro, con ciò che è essenziale e non delegabile: la propria libertà interiore.

Ecco perché il Happy Life Balance non è un percorso motivazionale. 
È un allenamento alla libertà personale, un invito a fermarti, respirare e chiederti:

“E se adesso scegliessi davvero me stessa, cosa cambierebbe?”

Darsi Da Fare, davvero.

Cambiare si può.
Ritrovare se stesse si può.
Allenare la felicità si può.
Ma serve DDF – Darsi Da Fare, non in modo frenetico, ma intenzionale.

E serve anche allenamento. Come per il corpo, anche la mente e il cuore hanno bisogno di esercizio costante e consapevole. Nessuno si sveglia un giorno con la forza interiore, la serenità o la lucidità già pronte. Si allenano. Si sviluppano un passo alla volta, attraverso piccoli gesti quotidiani, decisioni coerenti, momenti di presenza.

Per questo, la moda del momento che proclama "volere è potere" rischia di essere una grande illusione. Volere è un inizio, certo, ma non basta. Senza allenamento concreto e quotidiano, senza una pratica che trasforma la volontà in azione, quella volontà si esaurisce, si sgretola. È solo affermazione mentale. Funziona — e si potenzia davvero — solo se, e davvero solo se, è accompagnata da scelte reali, da esercizi interiori, da perseveranza. È lì che il potere personale prende forma: quando alleniamo ciò che vogliamo diventare.

Allenare la felicità significa imparare a scegliere ciò che ci fa bene, anche quando costa fatica. Significa allenare lo sguardo, la gratitudine, il perdono, la fiducia. Significa riscoprire che anche il coraggio è un muscolo: più lo usi, più diventa naturale.

Ecco perché parlo spesso di “allenamento alla felicità”: perché non è una condizione statica, ma un processo attivo, una pratica concreta, un cammino da vivere.

E questo è l’invito che ti lascio:
Non continuare a resistere. Inizia a rispondere.
Alle tue domande. Ai tuoi sogni. A quel bisogno profondo che hai dentro.
E se senti che è il tuo momento, io sono qui.

Il mio percorso Happy Life Balance è nato proprio per accompagnarti in questo passaggio.
Per non lasciarti sola nel cambiamento.
Perché sì, felici s’impara. Ma si impara insieme.

 

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26/04/2025

Non perfetti, ma presenti: nasce lo Spazio del Noi

26/04/2025

Non perfetti, ma presenti: nasce lo Spazio del Noi

Non perfetti, ma presenti: nasce lo Spazio del Noi

Chi l’ha detto che per essere dei bravi genitori, nonni, zii, educatori o insegnanti dobbiamo essere perfetti?
Chi ha messo in giro questa voce pericolosa, che ci fa sentire sempre un passo indietro, sempre inadeguati, sempre “sbagliati”?

Educare non è questione di perfezione.
Educare è questione di presenza.
È il coraggio di stare nelle cose, di mettersi in gioco, di fare esperienza. È guardare in faccia le difficoltà senza fuggire, senza far finta di niente, ma anche senza puntare il dito contro noi stessi o contro gli altri.

È proprio quando ci concediamo il lusso di non sapere tutto, ma scegliamo comunque di esserci, che facciamo la differenza.
Perché chi si prende cura di un bambino, di una bambina, di un ragazzo o di una ragazza, lo sa: ogni giorno è una scoperta. Ogni giorno ci mette davanti qualcosa di nuovo. E nessuno ci ha dato il libretto delle istruzioni.

Ma la buona notizia è che felici s’impara.
Si impara insieme, a piccoli passi, confrontandosi, ascoltandosi, sostenendosi.

È con questo spirito che nasce lo Spazio del Noi.

Uno spazio pensato per chi ha una responsabilità educativa — genitori, nonni, zii, insegnanti, educatori — e sente il bisogno di non sentirsi solo in questo compito meraviglioso e faticoso.
Uno spazio dove potersi raccontare senza paura di essere giudicati, ma con la certezza di essere accolti.
Dove le domande contano più delle risposte.
Dove si può condividere ciò che funziona, ciò che non funziona, ciò che si vorrebbe provare.

Un luogo in cui trovare respiro e sentirsi “nella stessa barca”, perché quando ci si confronta davvero, le difficoltà diventano un’opportunità concreta di cambiamento.

Io ci sarò come guida, come allenatrice di felicità, per aiutarti ad allenare uno sguardo nuovo: uno sguardo capace di vedere i punti di forza, le potenzialità, tutto quello che già c’è e che funziona.
Perché sì, esiste sempre qualcosa che funziona. A volte è solo questione di imparare a vederlo.

E lo faremo insieme, con quello che chiamo sempre il DDF — Darsi Da Fare, perché il cambiamento non avviene a colpi di teoria, ma con piccoli passi quotidiani, concreti, veri.

Tre fondamenta per questo progetto: il coaching umanistico, il coaching spirituale e il metodo Montessori

Lo Spazio del Noi si appoggia su tre pilastri che per me sono molto più che teorie: sono strade di vita, sono il modo in cui scelgo ogni giorno di stare nel mondo e di accompagnare le persone nei percorsi di crescita.

1. Il coaching umanistico: allenare lo sguardo, scoprire i punti di forza

Il coaching umanistico parte da una domanda potente: Chi vuoi essere?
Non si concentra sugli errori o sulle mancanze, ma sul potenziale, su ciò che può essere allenato e sviluppato.
È un invito a cambiare il modo di pensare, ad allenarci a cercare ciò che funziona invece di rincorrere ciò che manca.
Allenamento, costanza, gentilezza verso sé stessi.
È credere nella possibilità di vedere il mondo e noi stessi con occhi nuovi.

2. Il coaching spirituale: ascoltare chi sei, nutrire la tua essenza

Ma prima di chiederci chi vogliamo diventare, c’è una domanda ancora più vera, più intima: Chi sei?
Il coaching spirituale, che sto approfondendo con il percorso di SpiritualCoach di Lucia Merico, ci accompagna in questo viaggio di ritorno a casa, verso la nostra essenza più profonda.
Perché non possiamo portare fuori una visione buona, se prima non impariamo ad accoglierla dentro di noi.
È imparare a stare con ciò che c’è, senza maschere, senza bisogno di aggiustare, senza fretta di cambiare.
È nutrire la fiducia nel proprio sentire, nella propria voce interiore.
Perché solo chi si è incontrato davvero, può accompagnare un altro con autenticità.

3. Il metodo Montessori: osservare, rispettare, crescere insieme

Maria Montessori ci insegna che l’educazione non è un atto di imposizione, ma di ascolto.
L’adulto non plasma, ma osserva con umiltà e pazienza. Prepara l’ambiente e si mette al servizio della crescita.
L’osservazione montessoriana è viva, presente, mai passiva: è uno sguardo che non giudica, che non forza, ma che si apre alla possibilità di comprendere, di sostenere senza invadere, di rispettare i tempi e i bisogni dell’altro.
E per fare questo, l’adulto deve prima di tutto lavorare su di sé, allenare la propria capacità di presenza, il proprio equilibrio interiore, la propria crescita spirituale.

Come funziona lo Spazio del Noi

Quando: il giovedì sera, ogni 15 giorni, dalle 21 alle 22.30

Dove: online, comodo da casa, con il cuore aperto e il desiderio di condividere

Si parte: giovedì 29 maggio 2025 (l’ultimo giovedì di maggio)

Pausa estiva: tutto il mese di agosto

Quanto costa: una cifra simbolica di 20 euro all’anno, da versare tramite bonifico con nome e cognome. Non per “pagare” il tempo, ma come assunzione di responsabilità, come scelta di esserci davvero.

Come iscriversi:


Basta scrivermi una mail a info@santinabossini.it indicando:

Nome e cognome

Numero di cellulare

Indirizzo mail

Oggetto: “Io ho deciso di iscrivermi allo Spazio del Noi”

Allegando la ricevuta del bonifico.

Ti invito al webinar di presentazione!

Per conoscere meglio il progetto, per capire insieme cosa ci aspetta in questo percorso, per farmi tutte le domande che vuoi, ti aspetto al webinar gratuito di presentazione:

�� Giovedì 22 maggio 2025
�� Dalle 21 alle 22
�� Online, su Google Meet (ti invierò il link su richiesta)

Sarà l’occasione per incontrarci, per raccontarti di più su questo spazio, e per iniziare a fare insieme il primo passo.

Perché felici s’impara. E il primo passo, lo sai, è sempre il DDF – Darsi Da Fare.

Santina – allenatrice di felicità

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24/04/2025

Quando un figlio “non sta bene” ma non sa dirlo

24/04/2025

Quando un figlio “non sta bene” ma non sa dirlo

Quando un figlio “non sta bene” ma non sa dirlo

Imparare ad ascoltare le richieste di aiuto emotivo dei nostri bambini (e di noi stessi)

Nessuno cresce da solo

Essere genitori, oggi più che mai, è un’avventura che mette alla prova il cuore, la mente, la pazienza.
È una sfida che spesso si vive nella solitudine delle proprie stanze, tra il desiderio di fare del proprio meglio e il senso di inadeguatezza che arriva quando le cose non vanno come vorremmo.

C’è un punto però da cui partire sempre, ed è questo:
nessuno cresce da solo. Né i bambini, né noi adulti. Crescere è una questione di relazioni, di sguardi, di ascolto, di presenza. È una strada che si percorre insieme.

E allora, quando ci troviamo a chiederci “Perché mio figlio si comporta così?”, “Cosa posso fare per aiutarlo?”, forse la domanda più profonda che possiamo porci è:
“Sto riuscendo a vedere davvero ciò che mio figlio mi sta dicendo, anche quando non trova le parole per farlo?”

Questo articolo vuole essere una carezza e uno strumento: un piccolo compagno di viaggio per tutte le mamme, per tutti i papà, per tutte le famiglie che ogni giorno si mettono in gioco nell’educare e nel crescere insieme.

Quando i bambini ci chiedono aiuto… senza saperlo dire

Spesso, quello che leggiamo come “capricci”, “opposizione”, “provocazione” è in realtà una forma primitiva, a volte disperata, di esprimere un bisogno emotivo profondo. Una richiesta di aiuto.

I segnali che ci stanno dicendo: “Aiutami, sto facendo fatica” possono essere tanti, tra cui:

Rabbia esplosiva e crisi di pianto senza motivo apparente

Comportamenti regressivi (pipì a letto, linguaggio da più piccolo)

Chiusura nel silenzio o nel ritiro sociale

Frasi come “Non ce la faccio”, “Sono cattivo”, “Nessuno mi vuole bene”

Paure improvvise, attaccamento eccessivo, ansia da separazione

Disturbi fisici senza cause mediche (mal di pancia, mal di testa…)

Calo nel rendimento scolastico, difficoltà di concentrazione

Questi segnali sono il modo in cui i bambini ci chiedono di fermarci, di guardarli, di ascoltarli davvero.
Non sono esagerazioni. Non sono solo fasi. Sono richieste di aiuto.

E il primo passo per poterli accompagnare è allenare la nostra capacità di osservare e di ascoltare.
Quella stessa osservazione che Maria Montessori ci invita a coltivare ogni giorno, non per controllare, ma per capire chi abbiamo davvero davanti, senza sovrapporre le nostre paure o aspettative alla loro realtà.

5 passi concreti per accogliere le richieste di aiuto dei nostri figli

Fermati. Respira. Guarda.
Non agire subito. Fai una pausa, ascolta cosa sta accadendo dentro di te e fuori.

Nomina quello che osservi, senza interpretare.
“Vedo che sei molto arrabbiato.”
“Sento che sei triste oggi.”
Evita di etichettare o giudicare.

Offri uno spazio di ascolto autentico, senza forzare.
Anche un semplice “Io ci sono, quando vuoi parlarne” può fare la differenza.

Riconosci il bisogno, non solo il comportamento.
Quale bisogno sta cercando di esprimere mio figlio? Sicurezza? Attenzione? Amore?

Coltiva quotidianamente il tempo della relazione.
Anche solo 10 minuti di gioco o dialogo esclusivo al giorno, senza distrazioni. È tempo di qualità che nutre la fiducia.

E i papà? Anche il loro sguardo è fondamentale

Sì, spesso sono le mamme a sentire sulle spalle il carico più grande. Ma educare non è (e non dovrebbe mai essere) un mestiere solitario.
Ogni papà porta con sé potenzialità preziose: stabilità, gioco, tenerezza, forza, pazienza.

A volte i papà restano in disparte perché si sentono meno competenti, o perché pensano che certe cose siano “da mamma”. Ma non è così. Ogni gesto di presenza autentica, ogni parola detta col cuore, costruisce fiducia, sicurezza, amore.

Essere papà è essere parte viva di quella base sicura di cui ogni bambino ha bisogno.
Anche solo un “sono qui”, anche solo uno sguardo che dice “ti vedo”, può cambiare le cose.

La coppia come primo ambiente educativo

L’equilibrio emotivo di un bambino si nutre anche della serenità e della sintonia tra chi si prende cura di lui.
Non si tratta di essere sempre d’accordo su tutto, ma di essere una squadra, di avere il coraggio di parlarsi, di confrontarsi, di scegliere insieme la direzione da dare all’educazione dei propri figli.

Quando mamma e papà si sminuiscono a vicenda, quando si contraddicono davanti ai figli, si apre una crepa nella fiducia. Al contrario, quando si sostengono, anche nelle differenze, i figli respirano sicurezza, coerenza, amore.

Prendersi cura della relazione di coppia significa anche prendersi cura del benessere dei propri bambini.
Come ci insegna il coaching umanistico, ogni crescita personale si nutre di relazioni buone, di dialoghi sinceri, di alleanze forti.

Se senti che da sola non ce la fai… sappi che non sei sola

Non esistono genitori perfetti. Esistono genitori che si mettono in gioco. Che si fanno domande. Che scelgono di imparare, di allenarsi, di chiedere aiuto quando serve.
E questo non è un segno di debolezza. È il primo atto di cura verso sé stessi e verso i propri figli.

Se queste parole ti hanno parlato, se ti sei riconosciuta tra queste righe, ho pensato a uno spazio speciale proprio per te.

Sta per nascere un nuovo spazio di condivisione educativa:

La Stanza del Noi

Dove le relazioni fioriscono, e grandi e piccoli imparano a diventare sé stessi

Un gruppo online per mamme, papà, educatori, nonni: per chi desidera confrontarsi, imparare, sentirsi meno solo nella meravigliosa fatica dell’educare.
Ci troveremo ogni 15 giorni, il giovedì sera alle 21.00, a partire da giovedì 8 maggio, in un clima accogliente, rispettoso e autentico.

Per partecipare, è richiesto solo un piccolo gesto di responsabilità e appartenenza:
una quota simbolica di 20€ all’anno, dalla data di iscrizione.
Un modo semplice per dare valore a ciò che stai scegliendo di costruire insieme a me, e per sostenere questo spazio nel tempo.

Se senti che è arrivato il momento di prenderti cura anche di te, della tua relazione con i figli, con il partner, con te stessa, scrivimi.
Ti risponderò con gioia.
Perché sì: felici s’impara. E insieme, si fiorisce meglio.

Con affetto e presenza,
Santina

La tua allenatrice di felicità

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08/03/2025

Il potere delle Donne non è imitare gli uomini: La Forza della Differenza

08/03/2025

Il potere delle Donne non è imitare gli uomini: La Forza della Differenza

Il potere delle Donne non è imitare gli uomini: La Forza della Differenza

La falsa equazione tra potere e somiglianza

Viviamo in un mondo che, per troppo tempo, ha suggerito che per essere forti, per essere ascoltate, per "avere un posto" nel mondo, le donne debbano somigliare agli uomini. Ci hanno detto che dobbiamo acquisire la loro forza, il loro modo di pensare, la loro determinazione quasi aggressiva, per poter emergere. Ma è davvero così? O c'è un'altra via, un'altra forma di potere che non ha bisogno di somigliare a nessun altro se non a noi stesse? In questo articolo voglio esplorare il valore della differenza, il potere autentico della femminilità e come riscoprirlo nella vita di tutti i giorni.

La doppia energia in ognuno di noi: maschile e femminile

Ciascuno di noi porta dentro di sé sia energia maschile che energia femminile. Non si tratta di una contrapposizione, ma di una complementarietà naturale che, quando armonizzata, ci permette di essere completi. La società, tuttavia, ha spesso spinto le donne a sviluppare la propria parte maschile, come se solo attraverso questa potessero essere considerate autorevoli. Ma la vera forza sta nell'accogliere entrambe le energie dentro di noi, senza doverne rinnegare una per emergere.

Come family coach Montessori e life coach umanista, vedo ogni giorno quanto sia importante per le donne riconoscere e valorizzare le proprie potenzialità senza sentire il bisogno di conformarsi a modelli prestabiliti. L'educazione alla vita e alla felicità passa attraverso la consapevolezza di sé, il rispetto della propria natura e la capacità di esprimere con autenticità ciò che siamo davvero.

Differenti ma ugualmente potenti

Non esiste un unico modello di potere. Il nostro mondo, per essere completo, ha bisogno di entrambe le visioni: quella maschile e quella femminile. Ma il problema sorge quando una di queste visioni viene considerata l’unico standard valido.

Le donne pensano in modo diverso dagli uomini, e questo è un dono. Il loro modo di riflettere, di percepire il mondo, di affrontare i problemi è unico e imprescindibile per l’evoluzione della società. Il nostro potere non sta nel cancellare questa differenza, ma nel renderla sempre più visibile, valorizzarla e celebrarla.

Il Metodo Montessori insegna l’importanza della libera espressione e dell’ascolto profondo dei bisogni di ciascun individuo. Applicato alla nostra crescita personale, questo significa accettare la nostra diversità come una ricchezza, non come un limite.

Il mito della forza fisica e della competizione maschile

Per troppo tempo la forza è stata vista solo nella sua dimensione fisica o nella competitività. Ma la vera forza, quella che resiste, che trasforma, che innova, ha molte altre forme:

È la forza della capacità di ascoltare senza prevaricare.

È la forza di costruire connessioni profonde.

È la forza della resilienza, della cura, della capacità di adattarsi e innovare.

Le donne, storicamente, hanno esercitato queste forme di potere in modo straordinario. L’educazione alla felicità, che è parte centrale del coaching umanistico, ci insegna che la vera forza sta nell’autenticità, nella capacità di essere pienamente noi stesse senza bisogno di indossare maschere.

Le trappole dei social media e della rappresentazione della donna

Viviamo in un’epoca in cui i social media ci mostrano continuamente modelli di donna che oscillano tra due estremi: da un lato l’iper-femminilità performativa, dall’altro l’imitazione del modello maschile. Ma esiste un terzo spazio: quello in cui possiamo essere semplicemente noi stesse, senza sentirci obbligate a rientrare in un canone prestabilito.

I social possono essere strumenti potenti per ridefinire la narrazione sulla femminilità, ma dobbiamo usarli in modo consapevole. Creare una nuova immagine di potere femminile significa proporre contenuti che mostrino la bellezza della diversità, che raccontino la forza della vulnerabilità e la potenza dell’autenticità.

Riscoprire e abbracciare la nostra essenza femminile

Essere donne non significa aderire a modelli precostituiti, ma avere il coraggio di riscoprire chi siamo davvero. In un’ottica di coaching umanistico, questo significa allenare le nostre potenzialità e costruire uno sguardo orientato ai nostri punti di forza, anziché soffermarci su ciò che ci manca o su chi dovremmo essere secondo le aspettative sociali.

Quali sono le caratteristiche che ci rendono uniche?

Quali pensieri, quali sogni, quali modalità di vivere il mondo ci appartengono profondamente?

Quali condizionamenti sociali ci spingono a nascondere parti di noi?

Attraverso la scoperta e l’allenamento delle nostre potenzialità, possiamo trasformare il nostro modo di vivere, riconoscendo che ciò che ci rende diverse ci rende anche potenti. Il coaching umanistico ci insegna a guardare oltre le etichette, a riscoprire il valore delle nostre inclinazioni naturali e a farne strumenti di crescita e realizzazione.

Ogni donna ha dentro di sé una riserva di forza, creatività, empatia e coraggio che può sviluppare consapevolmente. Il percorso di riscoperta della propria essenza è un viaggio di libertà interiore, un cammino di autoeducazione alla vita e alla felicità, esattamente come insegna il metodo Montessori: attraverso l’osservazione di sé, la sperimentazione e la fiducia nei propri talenti.

La libertà più grande sta nell’accettazione di sé. Questo è il cuore del mio lavoro: aiutare le donne a riconoscere la loro potenza, a trovare la propria voce, a vivere la propria vita in armonia con ciò che sono. Essere donne non significa aderire a modelli precostituiti, ma avere il coraggio di riscoprire chi siamo davvero.

La vera libertà è essere noi stesse

Non dobbiamo essere più simili agli uomini per essere forti. Dobbiamo essere più simili a noi stesse. La potenza della femminilità non sta nell’omologazione, ma nella differenza. Non sta nel conformarsi, ma nel riscoprirsi. E solo quando saremo consapevoli della nostra unicità potremo davvero esprimere il nostro potere nel mondo.

Felici s’impara. E si impara anche ad essere pienamente donne, nella forza della nostra essenza.

A presto, 

la tua allenatrice di felicità. 

 

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